MÉXICO / Primi, difficili passi del neopresidente Fox
Di Jorge Alonso, corrispondente di envío dal México. Traduzione e redazione di Marco Cantarelli.
Dopo il 2 luglio, è cresciuta nella popolazione messicana la percezione che, finalmente, sia arrivata la democrazia. Nel giugno 1999, secondo un sondaggio del periodico Reforma, soltanto un 38% dei messicani riteneva che vi fosse democrazia nel paese. Nel dicembre 1999, tale convinzione era salita al 50%. Nel giugno 2000, nel pieno della “guerra sporca” che ha caratterizzato l’ultima campagna elettorale, il pessimismo era tornato a prevalere: soltanto il 42% riteneva di vivere in un paese democratico. Due mesi dopo la vittoria di Vicente Fox, per il 66% del campione, il México è un paese democratico.
La maggioranza dei messicani spera che il cambiamento sia definitivo. Tuttavia, fin dal primo momento, lo sconvolgimento del panorama politico ha scatenato un putiferio nelle principali forze politiche tale da porre in pericolo la stessa transizione iniziata in luglio. Il governo uscente non controlla più tutto il potere e si dibatte in scandali, mentre la squadra di transizione foxista non ha ancora il controllo della macchina politica. Del resto, i cinque mesi che intercorrono fra le elezioni e l’inizio della amministrazione del nuovo presidente sono un periodo troppo lungo perché il vento del cambiamento non trovi ostacoli nei diversi gruppi di potere che lottano per non restare tagliati fuori.
La vittoria di Fox e del PAN (Partido de Acción Nacional) ha aggravato le crisi interne al PRI (Partido Revolucionario Institucional) e al PRD (Partido de la Revolución Democrática). Ma, potrebbe anche prodursi una crisi interna al PAN se non saranno presto definite le relazioni tra partito e presidente, abbandonando il tradizionale assoggettamento del PRI alle direttrici presidenziali.
In agosto e settembre, si sono svolte due importanti elezioni locali. In Chiapas, per eleggere il congresso (cioè, il parlamentino di questo Stato) e il governatore. In Veracruz, per eleggere sindaci e deputati.
In Chiapas, il PRI aveva di fronte un’alleanza di opposizione che praticamente ha unito, a sua volta, le due alleanze di partiti guidate dal PAN e dal PRD costituitesi per le elezioni federali del luglio scorso. Dal momento che i sondaggi più seri davano in vantaggio l’opposizione, forti tensioni sono sorte nel PRI, che si era preparato a realizzare i tradizionali brogli. Persino gli altri governatori priisti, soprattutto quello di Tabasco, Roberto Madrazo, sono scesi in campo per sostenere il candidato del loro partito in Chiapas.
I municipi autonomi zapatisti hanno più volte denunciato le manovre dell’esercito e le provocazioni nei confronti delle comunità indigene in resistenza. Dieci giorni prima delle elezioni, un migliaio di indigeni del gruppo Las Abejas (Le Api), cui appartenevano le vittime della strage di Acteal, hanno marciato per celebrare la Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni e denunciare le violazioni dei diritti umani ai danni dei popoli indigeni del Chiapas. Gl indigeni protestano, in particolare, perché, a quasi tre anni da quella strage, il governo sostiene che giustizia è fatta e, quindi, il caso è chiuso. Gli indigeni chiedono, invece, che siani puniti l’ex governatore Julio César Ferro e otto suoi collaboratori, ritenuti mandanti della strage. Gli indigeni chiedono, poi, il disarmo dei gruppi paramilitari, che impediscono a molti indigeni di tornare nelle loro comunità di origine.
L’attività dei gruppi paramilitari è denunciata da tempo. I problemi creati dal gruppo Paz y Justicia (sic!), che aveva fatto sloggiare da un terreno alcuni simpatizzanti zapatisti, hanno dato l’occasione all’esercito e alla Polizia Federale Preventiva di intervenire spettacolarmente, con l’obiettivo di disarmare tale gruppo armato legato al PRI. In realtà, era tutta una messinscena: nessun arresto effettuato, sequestrati solo un’arma e qualche bossolo. La comunità indigena ha interpretato la “operazione” come un tentativo di incutere paura e spingere così a votare per il governo. Anche la Chiesa cattolica ha esortato a votare, pur chiedendo che venisse evitata ogni forma di costrizione in tal senso. Il candidato dell’opposizione ha promesso di punire i responsabili della strage di Acteal, di smilitarizzare il Chiapas e applicare gli accordi di San Andrés. Dal canto loro, le organizzazioni civiche avevano messo in guardia l’opinione pubblica sulla mancanza di condizioni per elezioni limpide in questo Stato. Tanto che, alla vigilia del voto, si sono intensificate le provocazioni dei paramilitari, persino nei confronti di osservatori internazionali giunti per le elezioni. Quindi, domenica 20 agosto, data delle elezioni, sono spariti materiali elettorali da vari seggi, si sono verificati episodi di compravendita di voti, alcuni esponenti dell’opposizione sono stati sequestrati per alcune ore. In molti luoghi lontani dagli occhi degli osservatori, il PRI ha costretto la gente a votare. In altre, come nelle comunità zapatiste, le minacce hanno impedito alla gente di andare a votare, sempre che lo volesse.
Alle elezioni federali, in Chiapas si era registrata la percentuale più alta di astensionismo. In quelle locali, l’astensionismo è cresciuto ancora di più, a conseguenza delle minacce.
Quando il PRI ha constatato che le provocazioni sul terreno non avevano prodotto il risultato sperato, ha cercato allora di manipolare i dati, esercitando pressioni sulle autorità elettorali. Ha, quindi, tentato di impedire che fossero comunicati i risultati parziali, man mano che arrivavano, mentre la dirigenza nazionale del PRI diffondeva dati falsi, prima ancora che l’organismo elettorale comunicasse i risultati preliminari. A quel punto, i dirigenti nazionali del PRD e del PAN si sono rivolti al ministro degli Interni (Gobernación) per esporre la gravità della situazione: gli operatori del governatore di Tabasco Madrazo stavano tentando di modificare il responso delle urne. Alle 22.50, il Consiglio Elettorale ha, allora, annunciato gli exit-poll di due agenzie di sondaggi affidabili. Entrambe davano la vittoria all’opposizione per ampio margine. Il giorno dopo, i dati ufficiali lo hanno confermato.
La presenza di osservatori nazionali ed internazionali ha impedito molte delle azioni fraudolente preparate dal PRI e così, nonostante tutto, Pablo Salazar, candidato dell’opposizione, ha vinto le elezioni e la stessa domenica sera, il governatore uscente ha riconosciuto la sconfitta del PRI.
Un plebiscito contro il PRIPablo Salazar ha dichiarato che la sua vittoria assestava un colpo ai governatori del PRI del sudest. Il governatore eletto ha pure annunciato marcia indietro nel piano di ristrutturazione municipale avanzato dal governatore uscente Albores, realizzato al margine delle comunità e contro gli accordi di San Andrés fra governo ed EZLN (Ejército Zapatista de Liberación Nacional). Salazar ha, quindi, promesso la fine dell’impunità e ammesso che finché esisteranno le cause che hanno dato origine alla sollevazione dell’EZLN, questa forza avrà ragione di esistere.
In Chiapas, è notoria la storica complicità fra governanti e agrari, latifondisti e sfruttatori di indios. In questo senso, le elezioni sono parse un plebiscito in cui è stata ratificata a livello locale la sconfitta del PRI subìta a livello nazionale, nella convinzione che finché il PRI sarà al governo non ci sarà soluzione al problema indigeno in Chiapas.
Veracruz: opposizione disunitaA Veracruz, le cose sono andate in maniera del tutto diversa. L’opposizione si è disunita. Peggio: molti piccoli partiti si sono convertiti in simboli elettorali al servizio di poteri regionali, di modo che partiti che erano stati alleati del PRD nelle elezioni federali si sono uniti stavolta al PRI. Si è dato persino il caso di partiti alleati in un municipio e avversari in uno vicino. In questo panorama, il PRI ha presentato candidature comuni – con il PARM (Partido Auténtico de la Revolución Mexicana), il PAS (Partido de Alianza Social) e il PSN (Partido Sociedad Nacionalista) –, in 210 comuni. Il PRD, invece, ha presentato 34 candidature comuni, tre delle quali con il PAN. Il PAN, a sua volta, ha presentato 26 candidature comuni. Violando la legge, il governo locale priista ha utilizzato risorse pubbliche a favore della sua campagna. Tuttavia, anche in Veracruz l’astensionismo è stato alto.
Grazie alla divisione e frammentazione dei partiti, il PRI è riuscito a spuntarla, vincendo 116 Comuni e conquistando 20 seggi su 24. Il PAN ha ottenuto 4 seggi e 43 sindaci, il PRD 29 sindaci. Dopo queste elezioni è chiaro, a livello nazionale, come il potere del PRI si sia spostato dalla presidenza della Repubblica ai governatorati che ancora controlla. In tal senso, il PRI si è vantato come la vittoria di Fox non abbia prodotto il temuto “effetto domino” a livello locale.
Tensioni nell’esercitoL’esercito messicano non ha mai dato conto del denaro pubblico che riceve. Nei fatti, esso gode di grande autonomia e discrezionalità nel gestire risorse, al punto da non rispettare le norme dettate dal ministero del Tesoro. D’altro canto, la prassi arbitraria di nominare gli ufficiali rappresenta una importante fonte di corruzione interna, oltre che di potere. Per colmo, le forze armate sono infiltrate dal narcotraffico. La vittoria di Fox ha prodotto sensazione nelle fila castrensi e le antiche reti di impunità hanno cominciato a vacillare, scatenando un’intensa lotta per il potere. Vari gruppi si contendono il controllo del ministero della difesa (la Secretaría de la Defensa Nacional). Le tensioni sono ormai pubbliche: un militare in pensione ha persino scritto a Fox, chiedendogli fino a quando intenda tollerare la situazione di degrado e discredito nell’esercito.
In questo agitato contesto, due generali, Acosta e Quiroz, sono stati accusati di legami con il narcotraffico ed arrestati. Secondo Eureka, un gruppo che si dedica alla ricerca di desaparecidos politici, i due militari hanno commesso un’infinità di abusi contro militanti popolari dell’opposizione. Molti militari accettano che questi alti ufficiali siano processati per i reati legati al narcotraffico, ma non per le accuse di tortura, assassinio e violazione dei diritti umani durante la lotta antiguerrigliera negli anni ‘70: processarli per questo, dicono, farebbe precipitare il morale nell’esercito, dal momento che quegli ufficiali non hanno fatto altro che ubbidire agli ordini e in quei “lavori sporchi” era coinvolto tutto il sistema.
Emergono grandi scandaliIl México è al 59° posto nella graduatoria mondiale della corruzione, che prende in esame la situazione in 90 paesi. Così, se i finlandesi risultatno come i meno corrotti al mondo con un voto di 10, i messicani ottengono il punteggio di 3,3. A rincarare la dose, ci ha pensato un rapporto della Banca Mondiale pubblicato a fine settembre, in cui il México occupava il quarto posto fra i paesi corrotti considerati.
Nei mesi seguenti le elezioni federali, vari casi hanno rivelato la scandalosa corruzione del paese. Ma, si tratta solo della punta di un iceberg. Il ministro del Turismo Oscar Espinosa si è dovuto dimettere per le accuse di peculato. Lo stesso Fox ha chiesto che venga processato. Appoggiato da ambienti priisti, Espinosa ha preferito però darsi alla macchia e, attualmente, è ricercato in patria e all’estero.
Un altro grande scandalo ha segnato la fine del mandato di Zedillo: quello relativo al Registro Nazionale dei Veicoli, ente statale che è stato privatizzato. Sul capo dell’amministratore di questa impresa, Ricardo Miguel Cavallo, pende un mandato di cattura internazionale per falsificazione e furto di automobili. A tali reati si sommano altri, di non minore gravità: torturatore e assassino di prigionieri politici nel governo militare dell’Argentina, tanto che il giudice spagnolo, Baltasar Garzón, colui che ha perseguito Pinochet, ha chiesto il suo arresto in qualsiasi posto del mondo si trovasse per i reati di tortura, assassinio e genocidio. Cavallo è stato, dunque, arrestato in México. Il giorno dopo, il sottosegretario al Commercio, Raúl Ramos Tercero, responsabile del registro automobilistico è stato trovato morto; apparentemente, suicida. Ma, i dubbi si moltiplicano e tutto puzza di mafia. Il governo appare infiltrato da criminali e la responsabilità di alti funzionari è evidente.
Malversazioni e spionaggioLa Suprema Corte ha ordinato al presidente Zedillo di consegnare al Congresso le informazioni in suo possesso circa le fideiussioni di Banca Unión, dalla quale sono state sviate illegalmente risorse a favore del PRI in tempi in cui l’attuale ricercato Espinosa era responsabile delle finanze di quel partito. Zedillo ha accolto l’ordine giudiziario, ma i priisti si sono indignati, dimostrando come ad essi non importi se qualcuno delinqua: l’importante è che non si sappia e che non venga punito. Il 21 settembre, la Commissione Bancaria ha consegnato al Congresso le informazioni sulle fideiussioni irregolari che sono servite a finanziare le campagne priiste, tra cui quella presidenziale di Zedillo e quella del governatore Madrazo, per un totale di 11 milioni di dollari. Tali fondi sono andati a parare al FOBAPROA, l’istituto di previdenza portato alla bancarotta causando un’abissale “buco” nelle casse pubbliche (vedi bollettini scorsi, ndr).
Secondo l’IPAB, istituzione succeduta al FOBAPROA, era già stato provato come il PRI avesse ricevuto denaro dalla Banca Unión, contribuendo così alla sua bancarotta; quindi, questo partito aveva l’obbligo di restituire il denaro. Quattro gruppi parlamentari hanno chiesto un processo politico contro il governatore di Tabasco. Il PRD ha chiesto un’indagine sulla campagna elettorale, allora, in corso in Tabasco, per verificare se vi sia stata malversazione di fondi. Inoltre, il PRD ha chiesto anche di indagare su altre banche per chiarire se vi siano stati passaggi di denaro illeciti al PRI.
Un altro scandalo è emerso con la rivelazione che il governo spiava illegalmente le telefonate di Vicente Fox.
E poi ancora, a fine settembre, quando la polizia stradale federale è stata denunciata per complicità con narcotrafficanti. In questo contesto, il degrado della Procura Generale di Giustizia appare evidente.
L’ultima volta di ZedilloZedillo ha presentato il suo ultimo rapporto al Congresso. I deputati del PRI, abituati ad applaudire il presidente, questa volta si sono risentiti. Il presidente uscente ha cercato di giustificare il lavoro svolto in questi sei anni. Ma i risultati, compresi quelli ufficiali allegati al documento, portano a concludere che Zedillo ha contribuito a distruggere il paese. Zedillo aveva promesso benessere per tutte le famiglie messicane, ma il benessere ha raggiunto solo pochi complici. Zedillo non ha fatto accenno al Chiapas, né al prolungato conflitto universitario, né allo scandalo FOBAPROA, né a quello più recente del registro automobilistico. Durante il suo governo, il debito pubblico è aumentato del 100%. Il sistema bancario, nonostante le costose operazioni di salvataggio, continua in bancarotta. La povertà è aumentata. Zedillo se ne va, inoltre, con un triste bilancio di sangue provocato da forze statali e paramilitari: i massacri di Aguas Blancas, in Guerrero; Acteal, El Bosque, El Charco, in Chiapas.
Glieli ha ricordati, invece, Vicente Fox. Il quale ha pure sottolineato che lasciare lo sviluppo nelle mani del mercato è stato un errore, mentre si sarebbe dovuto procedere ad un intervento selettivo e temporaneo dello Stato per assicurare la distribuzione dell’ingresso.
Per il PRD, Zedillo passerà alla storia come il “presidente FOBAPROA”.
In futuro, ci si augura che il momento della presentazione del rapporto presidenziale cessi di essere un atto rituale, diventando una vera occasione di confronto fra i poteri esecutivo e legislativo.
Lotte interne al PRIIl PRI ha perso “la testa” che aveva nel potere presidenziale, da dove emanava gli ordini e distribuiva incarichi e risorse. La sconfitta elettorale ha causato profonda delusione e una grande rabbia nelle sue fila. Alcuni priisti hanno proposto di espellere Zedillo dal PRI, reo di aver riconosciuto la vittoria di Fox. A Zedillo non viene perdonato il fatto di non aver dato l’opportunità di consumare la seconda e decisiva fase dei brogli. Le lotte interne al PRI per stabilire chi guiderà la ristrutturazione del partito sono acute. E sebbene la sfida sia mantenere l’unità, non si vede chi possa dirigere questo processo.
I 21 governatori del PRI si sono riuniti varie volte per discutere su come andare avanti. Quelli del sud-est, guidati da Madrazo, proclamano che la rifondazione partirà da essi, dal sud-est. Tuttavia, la sconfitta patita in Chiapas non conforta tale ottimismo, mentre sono evidenti i segnali della sbandata priista in almeno altri quattro Stati.
Una radiografia del PRI rivela l’esistenza nel partito di circa 40 gruppi. Ora, tutti lottano per avere spazio nella pretesa ristrutturazione. Alcuni gruppi sono molto forti, come quelli dell’ex governatore dello Stato di México, Hank, del governatore di Tabasco, Madrazo, dell’ex governatore di Puebla, Bartlett, di Enrique Jackson, rimasto a coordinare il gruppo parlamentare.
I critici interni ammettono che il partito ha forgiato una élite molto forte sul piano politico-economico, ma assai fragile su quello etico.
Alcuni settori in dissenso con i dirigenti del partito, sentendosi esclusi, hanno devastato la sede del PRI. Uno dei segni più gravi della decomposizione priista è il sanguinoso scontro, costato alcuni morti, fra due gruppi del PRI in lotta per la guida di un municipio nello Stato di México. Il PRI, a livello nazionale, ha chiesto scusa per ospitare nel suo seno gruppi come questi. In realtà, con la perdita della presidenza, è iniziata nel PRI la ribellione dei cacicchi di ogni ordine e grado, fino a ieri disciplinati e sicuri dell’impunità in cambio dei voti dati a questo partito.
Smantellare i meccanismi di poterePer Luis Javier Garrido, uno dei più acuti studiosi del PRI, il regime priista è andato in pezzi il 2 luglio, quando il partito ha cessato di essere un organismo dello Stato. Tuttavia, Garrido richiama l’attenzione su due aspetti.
Il primo, che pezzi di quel sistema di potere che ha dato forma al PRI continuano ad essere vigenti. Per superare, dunque, l’autoritarismo, vanno smantellati i gangli di potere del PRI: fra essi, i sindacati priisti che continuano a controllare i lavoratori, i sussidi governativi ai periodici e a tutte le organizzazioni che hanno sostenuto il priismo, quindi la polizia politica e i centri di spionaggio. Oltre a ciò, aggiunge Garrido, vanno riesaminate le privatizzazioni delle imprese pubbliche, recuperando quanto è stato defraudato dalla burocrazia politica priista; occorre, poi, rompere ogni legame dello Stato con il narcotraffico, processare i responsabili dei crimini di Stato, nonché quanti hanno defraudato la nazione attraverso il FOBAPROA. Senza disarticolare tutti questi meccanismi di controllo e di dominio sviluppatisi negli ultimi decenni a partire dagli enti pubblici e dalle istituzioni private, organizzazioni sociali e mass-media, il PRI continuerà vivo e vegeto.
In secondo luogo, conclude, Garrido, il rischio è che tale smantellamento avvenga alle spalle della società. Il voto del 2 luglio ha significato il rifiuto di un sistema politico con tutto ciò che esso ha storicamente implicato. Si tratta ora di evitare la ricomposizione dell’autoritarismo.
Un PRD senza rottaIl PRD si è mantenuto coeso nonostante gli scontri interni. Le elezioni hanno provocato, sì, la sconfitta del PRI, ma non ad opera del PRD come questo partito si aspettava. Cuauhtémoc Cárdenas, suo massimo dirigente è uscito malconcio dalla contesa. Questi ha bollato il 2 luglio come il giorno più triste per i messicani. I risultati elettorali sono magri per il partito del sole azteca: da 125 deputati che aveva, ora ne ha solo 50. Ora, nel PRD si chiede una rifondazione. Ma nella confusione postelettorale si affaccia anche l’ipotesi di un’alleanza con lo stesso PRI. Alcuni dirigenti del PRI e del PRD si sono già riuniti nel nome delle loro affinità ideologiche. Vizi comuni non mancano.
Se le lotte di potere interne al partito non verranno messe da parte, esiste il pericolo di una disgregazione di questa forza. Ma, la cosa più grave è constatare come, di fronte alla vittoria foxista, non ci sia una sinistra solida con un programma spendibile a far da contrappeso.
Dibattito sull’abortoLa vittoria di Fox ha dato coraggio all’estrema destra del panismo. Nello Stato di Guanajuato, la maggioranza dei legislatori panisti ha approvato una legge che vieta il ricorso all’aborto anche se le donne sono vittime di violenze sessuali. Per chi trasgredisce, si prospetta persino il carcere. La legge ha suscitato un’ondata di ripudio a livello nazionale, che ha obbligato la dirigenza panista a chiarire che le scelte del partito di Guanajuato non corrispondono ad una strategia del PAN a livello nazionale, né a linee politiche emanate dalla direzione del PAN o dal presidente eletto. La dirigenza del PAN ha, quindi, promesso di riunirsi con i legislatori di Guanajuato per trovare una soluzione al problema.
Fox ha sottolineato il suo dissenso con la legge antiaborto approvata in Guanajuato e ricordato il suo impegno a non promuovere alcuna iniziativa che cambi le circostanze in cui è consentito legalmente l’aborto. A livello nazionale, infatti, la legislazione permette l’aborto in caso di violenza sessuale. Da parte loro, i movimenti femministi esigono una depenalizzazione totale, adducendo che in México ogni anno avvengono 850 mila aborti clandestini, che mettono in pericolo la vita della donna.
Gli otto governatori panisti hanno anch’essi preso le distanze dalla legge approvata in Guanajuato, dove il locale governatore ha fatto svolgere un sondaggio, da cui risulta che il 63% degli abitanti di quello Stato non approva le modifiche di legge. Alla fine, il governatore, utilizzando il suo diritto di veto, ha fatto mancare il suo appoggio alla discussa legge.
Del resto, le posizioni antiabortiste non sono un’esclusiva dei settori duri del PAN. Il giornalista Jaime Avilés ha ricordato come anche la moglie di Labastida, candidato presidenziale del PRI, che pure si è detta scandalizzata per la legge discussa in Guanajuato, non abbia mosso un dito quando a Sinaloa, terra natale di Labastida, si verificò il caso di una ragazza violentata che voleva abortire, alla quale però le autorità priiste negarono la possibilità.
A fine settembre, la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ha dato il suo sostegno ad una richiesta fatta in marzo dalla Procura dei Diritti Umani e Protezione Civica al governo panista di Baja California, di indennizzo di una minore, vittima di violenza sessuale, cui è stato impedito di abortire legalmente. Per mezzo di una fideoiussione, oggi si chiedono garanzie economiche (sanità, istruzione, vestiti, casa, etc.) per la donna e suo figlio. La CNDH ha chiesto anche che siano individuate le responsabilità del Procuratore di Giustizia dello Stato e quella del personale medico coinvolto.
Il caso guanajautense ha scatenato una forte controversia ed ha avuto eco nazionale. Nonostante questo tema non sia stato toccato in due anni e mezzo di governo del PRD nella capitale, come una risposta politica, nel Distretto Federale sono stati depenalizzati altri casi di aborto: per malformazioni congenite e quando sussista pericolo di vita per la madre. Anche in Morelos è stata modificata la legge per permettere l’aborto in caso di malformazione del feto o di inseminazione artificiale senza consenso.
Una società pluralisticaL’organizzazione Pro Vida, di estrema destra, con importante influenza su settori panisti ha cercato di conquistare posizioni. Continuerà a farlo. A Aguascalientes, altro Stato governato dal PAN, alcuni funzionari hanno permesso che in uno stabilimento balneario privato venisse proibita l’entrata a «omosessuali e cani». Le proteste locali e nazionali hanno fatto retrocedere le pretese omofobiche. In realtà, sebbene la destra abbia preso coraggio, in tutti i casi si è scontrata con la risposta di importanti gruppi sociali che le hanno impedito di imporre le sue rigide norme ad una società sempre più complessa e pluralistica.
PAN: diverse tendenzeIl governo foxista dovrà dialogare con tutte le forze, fra cui quelle del suo stesso partito, dove si annidano molti elementi di destra, moderati da alcuni gruppi più di centro. Ci sono legislatori del PAN che hanno manifestato dissenso rispetto agli accordi di San Andrés, raggiunti con gli zapatisti. Altri che dissentono dalle linee di politica economica a livello internazionale. Il leader del gruppo parlamentare del PAN alla Camera dei Deputati ha fatto sapere agli incaricati di questioni economiche della squadra di Fox che non accetterà la bozza di progetto di bilancio dal momento che in esso è evidente la applicazione meccanica di ricette della Banca Mondiale. Più come risposta alle critiche, rivolte nella riunione annuale dell’FMI e della Banca Mondiale da colui che era stato il guru del governo Salinas, il professore del Massachusetts Institute of Tecnology (MIT), Rudiger Dornbusch, Vicente Fox ha dichiarato che dal momento che il México non ha più alcun debito nei confronti dell’FMI, potrà agire liberamente senza seguire i lineamenti degli organismi internazionali. Sebbene tale dichiarazione lo abbia distanziato dai discorsi globalizzanti di Zedillo, gli imperativi della globalizzazione hanno spinto l’equipe di Fox a tranquilizzare l’FMI: in México ci sarà continuità nella politica economica. Ma con qualche distinguo. Uno dei quali: la necessità di una ripresa del salario reale della popolazione, perché dopo, e solo dopo, si possa, parlare di flessibilità del lavoro.
Fox incontra PRD e PRIIl 2 agosto, il Tribunale Elettorale ha proclamato ufficialmente Vicente Fox presidente eletto del México. Da quel momento, Fox ha avviato una campagna di riconciliazione, dopo tanto aspra campagna elettorale. Ha chiesto scusa ai magistrati per averli accusati di parzialità e di “azioni sporche” quando il Tribunale ha proibito che sulla scheda elettorale venisse pubblicata la sua foto. Si è riunito con il candidato priista Labastida, riconoscendogli onestà e serenità nell’aver accettato il responso delle urne.
Inoltre, è andato a far visita a Cárdenas, nella sua casa, elogiando la sua lotta definita chiave per il progresso democratico in México. E, dopo aver cercato per molte settimane un contatto con Andrés Manuel López Obrador, capo del governo del PRD eletto nel Distretto Federale, l’incontro fra i due ha avuto finalmente luogo. Fox ha chiesto a tutti di collaborare alla transizione.
Cárdenas ha risposto che la relazione con il governo sarà istituzionale e ha chiesto a Fox segnali chiari sul conflitto in Chiapas, sottolineando come il popolo crederà al nuovo governo se questi ritirerà le truppe, applicherà gli accordi di San Andrés e disarmerà i gruppi paramilitari. Oltre a questi tre punti sul Chiapas, il PRD ha chiesto una riforma democratica che implichi lo smantellamento del partito-Stato, promuova il federalismo e auspichi la libertà sindacale. E poi ancora, un bilancio che risponda alle esigenze sociali – istruzione, sanità, casa –, una commissione nazionale per indagare sullo scandalo FOBAPROA, sulle privatizzazioni, sui conti segreti, e un programma nazionale di sviluppo che veda la partecipazione dei legislatori federali.
La squadra di Fox si è riunita anche con il PRI. Questo partito, tuttavia, non ha lasciato liberi i suoi militanti di decidere se collaborare a titolo personale con il neo presidente. A fine luglio, Fox si è riunito con il governatore priista di Sinaloa e, in settembre, cinque governatori degli Stati del sud hanno accettato di collaborare con Fox sul piano regionale.
Fox ha promesso un tavolo permanente di dialogo con il PRD e con il PRI per la riforma dello Stato, l’elaborazione del bilancio 2001, la politica economica e sociale, la riforma fiscale, il rapporto tra i poteri, la ricerca della giustizia e la pacificazione in Chiapas.
Chiapas: il grande testQuanto al Chiapas, sia le dichiarazioni di Fox che della sua squadra sono parse oscillanti, dando in alcuni casi l’impressione di un ritorno sulle posizioni di Zedillo, vale a dire di non fare un passo indietro fino a quando gli zapatisti non torneranno al tavolo del dialogo. Tuttavia, la maggioranza delle dichiarazioni sono parse in sintonia con le richieste del PRD.
Fox ha ben presenti le condizioni che dal 1996 gli zapatisti hanno posto per riprendere il dialogo: il rispetto degli accordi di San Andrés, la libertà dei presunti zapatisti arrestati, la nomina di un interlocutore governativo con capacità di decisione, l’insediamento di una commissione di accompagnamento e verifica degli accordi, la formulazione di proposte serie al tavolo che discute di democrazia e giustizia, la fine delle persecuzioni e delle provocazioni militari contro le comunità, la disarticolazione dei gruppi paramilitari.
Ancora ai primi di ottobre, gli zapatisti e il Subcomandante Marcos non si erano espressi sulla nuova situazione messicana, su Fox e sulla sua squadra. L’altro gruppo armato, l’EPR (Ejército Popular Revolucionario), ha annunciato che continuerà a combattere contro l’antipopolare e privatizzatore Fox.
Per l’esperta di diritto indigeno, Magdalena Gómez, il cambiamento promesso da Fox aspetta di essere concretizzato. Ha ricordato come la proposta fatta a suo tempo dalla Commissione parlamentare di Concordia e Pacificazione (COCOPA) attenda solo di essere presentata perché diventi legge; al contrario, secondo Gómez, andrebbero ritirate subito le iniziative di legge di Zedillo, del PAN e del Partito Verde relative ai diritti indigeni. La fiducia degli zapatisti e dei popoli indigeni si misurerà sulla capacità dei poteri esecutivo e legislativo di prendere delle decisioni.
Per altri, tuttavia, è lo stesso quadro di insieme di San Andrés ad essere superato: quegli accordi, sostengono, sono il minimo che si è potuto ottenere in una situazione in cui imperava l’autoritario regime del partito-Stato, mentre nella nuova situazione si dovrebbe andare oltre quegli accordi, che non tengono conto della realtà di milioni di indigeni che non vivono più nei loro luoghi di origine ma che sono dovuti emigrare in città.
Diplomazia al lavoroFox ha realizzato anche varie visite a livello internazionale. Nel suo giro per il Centroamerica ha chiesto scusa per le vessazioni e i maltrattamenti delle autorità messicane ai danni degli emigranti centroamericani, promettendo di porre fine a tali abusi.
In Canada, in una riunione con ONG canadesi e messicane, ha promesso il massimo rispetto dei diritti umani e chiesto alle ONG di esercitare vigilanza in questo senso, con particolare riguardo per i diritti degli emigranti. Gli organizzatori della riunione hanno dichiarato che si aspettano che il nuovo presidente messicano continui su questa via, consolidando la democrazia. Anche fra le ONG degli Stati Uniti, Fox ha conquistato qualche simpatia dopo averle invitate a partecipare alla transizione politica e alla costruzione di una nuova relazione bilaterale.
Finora, i presidenti messicani hanno trattato le organizzazioni non governative con ostilità. Fox offre loro una buona relazione. L’equipe di transizione di Fox ha ricevuto le ONG messicane che integrano il raggruppamento denominato El poder es la Gente e si è impegnato a promuovere una legge che incentivi le attività di assistenza e sviluppo sociale delle organizzazioni civili, ostacolata dal governo zedillista. Le ONG messicane hanno manifestato la necessità che a livello nazionale vi siano strumenti di democrazia diretta: plebiscito, referendum ed iniziativa popolare; che si permettano candidature indipendenti ma che si stabiliscano maggiori requisiti per la registrazione legale dei partiti. E, dal momento che come osservatori elettorali hanno constatato la persistenza della compravendita dei voti e delle pressioni, hanno chiesto di dotare urgentemente l’Istituto Elettorale di strumenti legali ed adeguati per impedirli.
Da parte loro, i dirigenti dei sindacati indipendenti hanno chiesto al presidente eletto di poter partecipare alle riforme del mondo del lavoro.
Più disuglianze, più povertàL’Istituto Nazionale di Geografia e Statistica ha rivelato che, anche se dal 1994 al 2000 è cresciuta in México la ricchezza, la sua distribuzione è molto ingiusta: mentre il 10% più ricco riceve il 38,1% dell’ingresso nazionale, al 10% più povero va appena l’1,5%. Dall’ultimo rapporto al Congresso di Zedillo si apprende che il sussidio al consumo è caduto e che le risorse destinate a combattere la povertà sono diminuite. Di conseguenza, circa 200 mila famiglie hanno smesso di ricevere assistenza sociale e circa 28 mila indigeni sono stati esclusi dai programmi assistenziali. Nella sua ultima riunione a Praga, la Banca Mondiale ha riconosciuto come le differenze abissali fra ricchi e poveri mettano a rischio la stabilità mondiale. In México, un 30% della popolazione sopravvive con meno di un dollaro al giorno. In quella occasione, la Banca Mondiale ha sottolineato una verità ovvia: la riforma finanziaria in México è stata un fallimento, dal momento che è aumentata la povertà.
Uno dei più attenti ricercatori sulla povertà in México, Julio Boltvinik, ha dimostrato più in concreto come il modello economico imposto dal governo di Zedillo abbia generato una crescita che è stata accompagnata da un’allarmante concentrazione dell’ingresso e un altrettanto allarmante aumento della povertà fra gli strati più poveri. I messicani al di sotto della linea di povertà sono aumentati in questi sei anni, passando dal 69% al 76%. In questo contesto, urge una politica che punti a far recuperare il potere d’acquisto, dal momento che quasi due terzi dei poveri sono salariati e che le politiche destinate alla lotta alla povertà appena arrivano ad un terzo dei poveri che lavorano per conto proprio mentre non “toccano” i due terzi di salariati.
Il grido di speranzaIl 16 settembre si celebra in México l’anniversario della indipendenza dalla corona spagnola con il tradizionale “grido”, atto che è diventato rito ufficiale. Quest’anno, in 120 municipi di 18 entità federative è stato lanciato, in alternativa, “il grido degli esclusi”, a conclusione di una campagna promossa da 150 organizzazioni di tutto il continente, culminata il 12 ottobre con un grido continentale di indignazione di fronte all’impoverimento generato da quanti mantengono l’attuale modello economico pauperizzante.
Fox ha insistito che terrà conto di tutti, che condividerà il potere senza esclusioni e che governerà sulla base del consenso. Risolvere il problema della povertà garantendo assistenza ai nuclei impoveriti e non seguendo gli imperativi dei centri finanziari internazionali, che peraltro parlano anch’essi della necessità di sradicare la povertà, sarà vitale per la democrazia in México.
Interrogato sulle elezioni presidenziali messicane, il filosofo spagnolo Fernando Sabater ha dichiarato: «Sono state uno spartiacque definitivo, indicano un cambiamento che ci ha riempito tutti di emozione». In México si continua a sperare, ormai con più aspettative che emozioni, e così sia.