NICARAGUA / La paura ha prevalso sulla disperazione
Articolo di José Luis Rocha. Ha collaborato alla traduzione Giordano Golinelli. Redazione di Marco Cantarelli.
Il Consiglio Supremo Elettorale (CSE) ha proclamato presidente e vicepresidente del Nicaragua Enrique Bolaños e José Rizo, candidati del Partito Liberale Costituzionalista (PLC), con il 56% dei voti validi. Daniel Ortega e Augustín Jarquín, candidati della Convergenza Nazionale, hanno ottenuto il 42% (Tabella 1).
Secondo i dati del CSE, nelle liste elettorali per le votazioni del 4 novembre 2001, figuravano iscritte 2.997.228 persone, pari ad un aumento del 9% nell’ultimo anno. Pertanto, con 249.024 nuovi iscritti rispetto alle elezioni municipali del novembre 2000 e 576.161 in più rispetto a quelle presidenziali del 1996, le elezioni del 2001 annunciavano qualche sorpresa, che, in effetti, c’è stata. Il vantaggio percentuale del PLC sull’FSLN è stato, questa volta, tredici volte più grande di quello del 2000 e quasi doppio rispetto al margine di vittoria del PLC sull’FSLN nel 1996. Si può, dunque, supporre che il voto dei nuovi iscritti abbia contribuito a tali notevoli differenze.
I dipartimenti in cui gli iscritti sono aumentati di più coincidono con quelli più popolosi: Managua, 65.944 nuovi iscritti; Matagalpa, 22.256; Chinandega, 21.727; Jinotega, 20.620. Come si osserva, cifre tutte molto superiori al margine di vantaggio che il PLC ha ottenuto sull’FSLN nelle elezioni municipali del 2000.
Nelle presidenziali era ragionevole attendersi un cambiamento nei rapporti di forza rispetto alle municipali. Ciò che pochi si aspettavano è che tale cambiamento beneficiasse in forma così netta il PLC. In termini percentuali, i dipartimenti con maggiore incremento di iscritti sono stati: Jinotega con il 14%, il Río San Juan con il 12%; e la Regione Autonoma dell’Atlantico Sud, con l’11%; proprio, dove l’FSLN ha perso in maniera più clamorosa. Evidentemente, l’antisandinismo prevalente in queste terre non è stato estraneo alla “frenesia” di voler votare.
Il politologo Arturo Cruz ha descritto più volte queste elezioni come uno scontro fra il voto dettato dalla paura e quello dettato dalla disperazione. Paura di un ritorno dell’FSLN e disperazione per la fame e la disoccupazione che le politiche e la corruzione del PLC hanno aggravato. Il sorprendente margine strappato dalla paura alla disperazione, e anche all’apatia politica – una pericolosa opzione alla quale l’elettorato nicaraguense appariva proclive, come era emerso nelle municipali – è andato oltre ogni pronostico. In questa occasione, il PLC ha guadagnato il 40,5% di voti rispetto agli iscritti, mentre l’FSLN il 30,5% (Tabelle 2 e 3).
Secondo uno degli ultimi sondaggi, Bolaños raccoglieva il 38,6% delle intenzioni di voto; tuttavia, nelle urne ha ottenuto il 56% dei voti validi e Ortega, che si aggirava intorno al 37%, è arrivato al 42% dei voti validi. Questi risultati sembrano indicare un leggero orientamento di chi aveva preannunciato la propria astensione a votare invece per il PLC, accanto a un certo declino del voto sandinista, forse a causa dell’effetto Armageddon: il timore, cioè, di azioni degli Stati Uniti contro il Nicaragua governato da Daniel Ortega, dopo gli attentati dell’11 Settembre. La paura della guerra, della penuria e delle confische erano precedenti all’11 Settembre. Tale timore è una sorta di gene ideologico, con grande capacità di sopravvivenza, trasmesso di generazione in generazione. Soltanto un’inchiesta minuziosa avrebbe potuto rivelare quale percentuale dei nuovi iscritti al registro elettorale abbia ereditato quel gene.
Ma non si tratta soltanto di una questione meramente generazionale, perché l’ultimo gruppo di iscritti comprendeva persone in età di voto da vari lustri, che si sono probabilmente decise a iscriversi in massa – o sono state incoraggiate a farlo – per paura di una vittoria di Ortega.
Nonostante l’uso e l’abuso dei colori della Barbie (la nota bambola, ndr), la Convergenza maturata con ex avversari – Agustín Jarquín, Azucena Ferrey, Miriam Argüello, Antonio Lacayo – ed esponenti di alto profilo del PLC in rotta con Alemán – Sergio Quinterno García ed Eddy Gómez –, le promesse economiche, gli slogan melliflui – L’amore è più forte dell’odio –, in realtà l’FSLN mai è stato così lontano dalla vittoria elettorale come in questa occasione. «Sessantaduemilaquattrocento ripetizioni non fanno una verità», recita un personaggio di Un mondo felice di Aldous Huxley. E sebbene ci siano stati molti cambiamenti nell’FSLN, non c’è stato il cambio più sperato: quello del candidato. La permanenza di Daniel Ortega era il brutto presagio che qualsiasi altro cambiamento sarebbe stato, poi, solo cosmetico.
Il PLC ha vinto nonostante la crisi del caffè, la fame diffusa in molte zone rurali, la corruzione, il fallimento di varie banche, gli scarsi investimenti sociali, le quotidiane denunce dei mega-salari che alti funzionari liberali si sono autoconcessi, il patto con l’FSLN per ridistribuire quei poteri ancora in mano di altre forze politiche che i due partiti contraenti anelavano neutralizzare. Hanno vinto i liberali nonostante la volgarità con cui il presidente Alemán ha trattato diplomatici, giornalisti, oppositori ed esponenti del suo partito dissidenti.
Il PLC ha vinto con lo sfacciato sostegno dell’ambasciatore statunitense Oliver Garza, arrivato al punto di accompagnare Bolaños in una visita nelle campagne per distribuire aiuti ai contadini colpiti dalla siccità, perché non ci fossero dubbi sul suo appoggio al candidato, uomo simbolo dell’antisandinismo, non solo per il suo solito discorso di contrapposizione ma anche per la sua storia negli anni Ottanta, alla guida del Consiglio Superiore dell’Impresa Privada (COSEP). Era evidente che le dichiarazioni e le azioni di Oliver Garza erano messaggi diretti ai nicaraguensi con parenti che risiedono o lavorano negli Stati Uniti, e che ricevono le rimesse in dollari, tanto vitali per la sopravvivenza delle loro famiglie, nonché per coprire il disavanzo commerciale del paese.
Patto: una strategia sbagliata e dai frutti amari per l’FSLNUn elemento molto importante per meglio capire lo sviluppo e i risultati di queste elezioni è il collasso del Partito Conservatore (PC). Come punto centrale della sua strategia espressa nel patto con Alemán, l’FSLN ha promosso riforme costituzionali che spianassero la strada ad una sua vittoria al primo turno. L’FSLN sapeva di poter uscire vincente solo al primo turno, dividendo il voto antisandinista.
Il crollo dei conservatori – dopo lotte intestine forse incentivate da finanziamenti esterni – ha fatto sì che il paventato scenario del secondo turno elettorale – con il “tutti contro il FSLN”, che questo partito ha cercato in tutti i modi di evitare – si concretizzasse invece al primo, diventato unico, turno. Non c’è dubbio che i piloti suicidi del Partito Conservatore, schiantatisi contro le vecchie strutture del proprio partito, hanno prodotto il crollo di tanto anacronistica organizzazione, più adatta, forse, ad un museo di storia. Nell’ipotetico caso in cui Noel Vidaurre, iniziale candidato presidente del PC, non si fosse ritirato e avesse mantenuto quel 16,5% di intenzioni di voto registrate da un sondaggio del febbraio 2001, forse l’FSLN avrebbe potuto farcela, anche se non si può escludere che ciò avrebbe provocato il panico ad ultima ora, spingendo ad un repentino travaso di voti dal PC al PLC.
Il gene della paura ha messo alla prova il suo potere. Mentre il PC, che già pativa un logorio frutto di evidenti lotte intestine, ha ridotto la sua popolarità dal 13,3% al 4,5% fra giugno e agosto 2001, Bolaños si ergeva sulle macerie di questo partito, crescendo in popolarità e passando nello stesso periodo dal 28,8% al 38,6%. Se il voto sandinista è stato un voto serrato e disciplinato, non meno lo è stato il voto antisandinista, come hanno messo in luce i sondaggi delle ultime settimane, durante le quali i nicaraguensi che mai avrebbero votato per Daniel Ortega si sono mantenuti sempre intorno al 40%.
L’FSLN non sembra aver accettato la sconfitta e ha preferito vedere progressi e vittorie nei 363.438 voti in più ricevuti, rispetto al 1996 e nei 297.496 voti in più rispetto alle municipali del 2000, aumenti che equivalgono a 66% e 48% in più, rispettivamente. Ma la crescita del PLC rispetto alle stesse elezioni è stata molto maggiore: 530.421 e 579.998 voti in più, rispettivamente 77% e 91% di aumento. Tali percentuali non riflettono l’aumento degli iscritti, pari al 24% fra il 1996 e il 2000 e al 9% fra il 2000 e il 2001 (Tabella 1). Questi aumenti riflettono in quale misura l’FSLN e il PLC si siano beneficiati dell’esclusione di ogni altra opzione politica, saccheggiando un elettorato costretto a scegliere davanti a un menù di solo due portate. Tale crescita riflette, infine, quanto il frutto del patto sia risultato amaro per l’FSLN, non essendo riuscito quest’ultimo a sfruttarlo come previsto.
Come mostrano le tabelle, il PLC ha consolidato il proprio elettorato. Malgrado non si fosse presentato come Alleanza Liberale, nel 2001 ha visto una partecipazione percentuale maggiore rispetto al numero di iscritti. È aumentato lo scarto di vantaggio sull’FSLN: nel 1996, il margine era stato di otto punti sopra, oggi è di dieci. I risultati delle elezioni municipali del 2000, quando tale margine fu di appena un punto, hanno alimentato nel vertice dell’FSLN la speranza di essere prossimi come non mai al ritorno al governo. Ma, come già avevano mostrato le elezioni del 1996 – quando l’Alleanza Liberale aveva ottenuto un considerevole numero di voti in più nelle liste presidenziali che in quelle municipali – le elezioni presidenziali polarizzano e ciò beneficia ampiamente i liberali.
Nelle elezioni municipali del 2000 il PLC aveva superato l’FSLN di appena 18.944 voti. Partendo da quei risultati, l’FSLN ha calcolato che, con i suoi organizzati ed efficienti comandos electorales, con una buona campagna elettorale e una giusta dose di propaganda sulla corruzione del governo liberale, la vittoria fosse assicurata. Nemmeno nei loro incubi più danteschi gli attivisti sandinisti avrebbero mmaginato che il PLC li avrebbe superati di 301.446 voti, una differenza del tutto sproporzionata all’incremento degli iscritti. Mentre fra il 1996 e il 2001 il numero degli iscritti è cresciuto del 9%, il bacino del voto liberale è aumentato del 91%, mentre il margine di vantaggio sull’FSLN è salito del 124% (Tabelle 4 e 5). Questa impressionante ascesa è stata possibile solo grazie al fatto che le altre opzioni politiche sono state praticamente cancellate, mentre l’astensionismo, alleato fondamentale dell’FSLN nelle municipali del 2000 è sceso drasticamente. In sostanza, con il patto che ha annullato il pluralismo politico, l’FSLN ha fomentato una polarizzazione che ha finito per favorire soltanto il PLC e che non gli ha permesso di captare quella quota di elettorato privato di alternative, come sperava.
Gli effetti del cosiddetto “voto “incrociato”Solitamente, le elezioni presidenziali creano uno scenario nel quale il voto si polarizza e diminuisce l’astensionismo. Per questo, quando avvengono in concomitanza con altre elezioni, esse offrono anche una buona opportunità per “incrociare” il voto. Ultimamente, il PLC è stato il partito più colpito dal cosiddetto “voto incrociato”. Il 4 novembre scorso, il PLC ha infatti preso 83.987 voti in meno nelle elezioni dei deputati rispetto alle presidenziali. Per l’FSLN, con un elettorato più disciplinato e, forse, meno aperto ad altre opzioni, la differenza è stata minore: soltanto 14.163 dei suoi elettori, pari all’1,5%, non hanno votato per alcuno dei deputati danielisti in lista.
I conservatori sono stati quelli più beneficiati dal voto “incrociato”. Il PC, che ha raccolto soltanto 29.933 voti nelle presidenziali, ha ottenuto 105.130 voti nelle elezioni dei deputati candidati nei dipartimenti. Tuttavia, a questi 75.197 voti “incrociati”, più che significativi per i conservatori dal momento che rappresentano il 251% di quanto ottenuto nelle presidenziali, “mancano” 22.953 voti rispetto a tutti quelli “persi” da PLC e FSLN per effetto del “voto incrociato”.
E questo non si spiega solo con la partecipazione nella Costa Atlantica – dove l’elettorato è esiguo – delle due formazioni politiche a base etnica – YATAMA (acronimo di Yapti Tasba Masraka Nanih Aslatakanka; traducibile in I Figli della Madre Terra, ndr) e PAMUC (Partito Movimento di Unità Costegna) – perché qualcosa di simile è successo anche nell’elezione dei deputati su scala nazionale e di quelli al Parlamento Centroamericano.
Ciò fa supporre che un 7% di coloro che hanno votato per Bolaños, abbiano deciso di punire la lista di deputati scelti da Alemán, piuttosto che da Bolaños; mentre un’altra parte di elettorato, per il quale l’FSLN non doveva assolutamente vincere e per questo ha votato Bolaños, non avendo alcuna fiducia nei deputati del PLC non li ha votati.
D’altro canto, molti elettori conservatori doc hanno preferito non votare per i propri candidati presidenziali che non avevano alcuna speranza di successo, evitando così di incrementare le possibilità di vittoria dell’FSLN, con la divisione del voto antisandinista. Tuttavia, i molti voti in più ottenuti dal PC nell’elezioni dei deputati, gli hanno garantito soltanto un seggio a Managua e non hanno impedito che il PC perdesse la propria personalità giuridica, per iniziativa del CSE in base alla legge elettorale che esige il raggiungimento del quorum del 4% alle presidenziali.
Se analizziamo le elezioni del 1996, in cui si votò per la presidenza, i deputati, i sindaci e i consiglieri municipali, pare evidente come il “voto incrociato” non sia affatto quella novità politica che emergeva dalla prime analisi. Nel 1996, vi furono – com’era prevedibile – molti più “voti incrociati” di oggi. Perché allora erano in lizza molti più partiti e, pure, liste civiche, che hanno ottenuto un discreto successo, soprattutto a Managua.
Nel 1996, l’Alleanza Liberale ottenne 209.765 voti in meno nell’elezione dei sindaci rispetto a quelli ottenuti dai candidati alla presidenza. Anche se in minor misura, anche l’FSLN patì gli effetti del “voto incrociato”, con una “perdita” di 112.930 voti. Anche i candidati al parlamento di Alleanza Liberale raccolsero 106.000 voti in meno di quelli ottenuti dai loro candidati a presidente e vicepresidente. Tali differenze testimoniavano un effetto redistributivo di voti a favore dei partiti piccoli, esclusi dalle elezioni nel 2000 e 2001, a conseguenza della riforma della legge elettorale stabilita dal patto.
Nel 1996, la lista di deputati del Movimento Rinnovatore Sandinista (MRS) ottenne 15.124 voti in più della propria lista presidenziale, superata anche dalla lista di candidati sindaci, che ottenne 16.104 voti. La lista dei candidati a deputato del Progetto Nazionale di Antonio Lacayo (PRONAL) captò 31.391 voti in più della sua lista presidenziale. In questa ridistribuzione ebbe un peso assai importante il municipio della capitale, dove le liste civiche Viva Managua – dell’oggi subordinato al PLC Pedro Solórzano – e Movimento Sole – dell’attuale sindaco di Managua per il FSLN, Herty Lewites – ottennero moltissimi voti: rispettivamente, 98.124 e 46.963.
Nelle elezioni del 2001 il “voto incrociato” ha avuto un peso minore, in quanto era meno variegato l’arcobaleno elettorale, ridotto praticamente a soli due colori. Nel 1996, i candidati sindaci di Alleanza Liberale raccolsero il 31% di voti in meno della lista presidenziale. Percentuale risalita al 15% nel caso dell’elezione dei deputati. L’FSLN risultò meno danneggiato nella lista dei deputati, ma il voto incrociato punì i suoi candidati sindaci, che presero un 20% di voti in meno. Nel 2001, il PLC è stato danneggiato dal “voto incrociato” in misura del 7% e l’FSLN dell’1,5%. Ciò era quanto si prefiggeva il patto.
Dove PLC e FSLN hanno preso più votiL’FSLN ha superato per numero di voti il PLC soltanto nei dipartimenti di León, Chinandega ed Estelí. Nel caso di León, considerato una roccaforte dell’FSLN, il margine è stato di appena 6 mila voti. In tutti gli altri dipartimenti (province), il PLC ha superato l’FSLN e solo a Carazo e Madriz con margini inferiori a 6 mila voti. In alcuni dipartimenti il vantaggio è stato notevole: Masaya (+20.234), Jinotega (+28.365), Boaco (+29.486), Chontales (+31.195), Matagalpa (+42.490), Managua (+52.423) e la Regione Autonoma dell’Atlantico Sud (+58.062). Risultati assai lontani dal tanto pronosticato testa-a-testa finale. In ognuno dei dipartimenti citati, il PLC ha accumulato un vantaggio sull’FSLN sensibilmente maggiore di quello ottenuto a livello nazionale in tutti i municipi nelle elezioni municipali del 2000. In termini assoluti, i dipartimenti in cui il PLC ha preso più voti sono stati: Managua (302.688), Matagalpa (125.942), la RAAS (81.879), Chinandega (78.027) e León (77.766). Sebbene con un lieve scostamento, questa scala coincide con la lista dei dipartimenti in ordine discendente per numero di iscritti.
Da parte sua, l’FSLN ha guadagnato più voti a Managua (250.265), León (83.924), Matagalpa (83.452), Chinandega (82.994) e Masaya (52.979). La Regione Autonoma dell’Atlantico Sud, la quinta per numero di iscritti, appare al quattordicesimo posto come serbatoio di voti per l’FSLN. Le pessime politiche seguite dall’FSLN in questa regione durante gli anni Ottanta, convertita in una sorta di purgatorio dove i funzionari sandinisti più discussi erano inviati a espiare qualsiasi tipo di errore, stanno raccogliendo quanto allora seminato.
La repressione di cui furono vittime le organizzazioni della RAAS negli anni Ottanta fanno sì che i suoi abitanti si orientino oggi verso il PLC, onde evitare il ritorno al governo dei “meticci” sandinisti. Qualcosa di simile succede al PLC a Puerto Cabezas-Bilwi e nella Regione Autonoma dell’Atlantico Nord (RAAN) che, pur essendo all’ottavo posto per numero di iscritti, si trova al quindicesimo posto in termini di voti per il PLC.
In questo caso pesa, più di ogni altro fattore, l’astensionismo tipico di questa zona, che si manifesta in tutte le elezioni e colpisce tutti i partiti indistintamente, compresi quelli regionali. Tuttavia, si tratta anche di un castigo per il PLC, che durante le elezioni del Consiglio Regionale tolse spazio ai partiti della zona e, complottando con l’FSLN, impedì loro di partecipare alle municipali del 2000.
Per esaminare le zone più liberali o sandiniste si vedano le Tabelle 6 e 7 in cui i dipartimenti sono ordinati in base al numero di voti per numero di iscritti nelle elezioni 2001. Tuttavia, gli indicatori includono anche le percentuali relative alle elezioni del 1996 e del 2000. Dove le barre seguono un ordine decrescente senza sbalzi si può presumere un parametro costante di predilezione. Le disparità riflettono invece le variazioni nelle preferenze ad ogni tornata elettorale. In questo senso, il PLC appare più danneggiato da tali oscillazioni. I voti del PLC paiono più variabili e meno prossimi ad una costante. Mentre lo “zoccolo duro” dell’FSLN appare più costante elettoralmente.
I dipartimenti più liberali, secondo la percentuale di iscritti che hanno votato per il PLC, sono Chontales e Boaco (54%), Matagalpa (49%), la RAAS (46%) e Jinotega (45%), dipartimenti dove negli anni Ottanta il governo sandinista ha colpito molti contadini con espropriazioni e abusi di potere, e dove la guerra è stata più crudele. Di qui, il timore della popolazione che l’FSLN tentasse di rieditare le tragedie del passato. I dipartimenti meno sandinisti sono quelli che, simmetricamente, hanno più votato per il PLC: Chontales, la RAAN, Boaco e la RAAS.
I dipartimenti meno liberali sono stati: Estelí (35%), León (34%), Chinandega (33%) e la RAAN (27%). Salvo quest’ultima, i primi tre sono tradizionalmente roccaforti dell’FSLN. Nella RAAN, invece, prevale sempre l’astensionismo.
I dipartimenti più sandinisti sono stati: Madriz (39%), Estelí (37%), Nueva Segovia e León (36%) e Chinandega (35%). Da sempre queste regioni sono serbatoi elettorali per l’FSLN. Tuttavia, va osservato come in queste elezioni, salvo Estelí, anche i dipartimenti più sandinisti abbiano votato più liberale che sandinista. Prova ne è che mentre l’FSLN non ha superato il 37% dei voti (rispetto agli iscritti) tranne che in un unico dipartimento, il PLC è andato sotto la stessa percentuale soltanto in quattro dipartimenti.
È anche interessante raffrontare le percentuali fra un’elezione e l’altra. Fra il 1996 e il 2001, il PLC ha spiccato letteralmente il volo in alcuni dipartimenti: nella RAAS e a Matagalpa è cresciuto di 20 punti, a Managua e Nueva Segovia di 17, a Boaco di 16 e nel Río San Juan di 14 punti. Rispetto alle elezioni del 2000 l’incremento percentuale più rilevante per il PLC si registra a Chontales e Boaco, dove è salito di 30 e 27 punti rispettivamente, mentre a Masaya, Managua e Matagalpa, è cresciuto di 22, 21 e 20 punti.
Gli incrementi dell’FSLN sono stati assai meno spettacolari. Se fra le elezioni del 1996 e quelle del 2001 il PLC è aumentato di oltre 10 punti percentuali in altrettanti dipartimenti e in 3 di essi per oltre 17 punti, l’FSLN è cresciuto solo a Matagalpa, Managua e Jinotega, di 14, 13 e 11 punti, rispettivamente. Ma, nella RAAS il suo peso è diminuito. Nonostante il forte astensionismo nelle elezioni del 2000, chiaramente superato in quelle del 2001, tra le due tornate elettorali l’FSLN ha aumentato i suoi voti di più di 10 punti percentuali unicamente a Chinandega con 13, Masaya con 12 e Granada con 11.
Pur senza disporre dei dati del CSE, possiamo affermare che il voto urbano non ha favorito l’FSLN tanto come ci si attendeva dopo il risultato delle municipali. Neppure a Managua, dove il sindaco sandinista Herty Lewites si è trasformato nel sindaco più fotogenico e simpatico della storia della capitale. Nelle città – Managua in testa – la gente ha optato per la stabilità. Tuttavia, l’FSLN ha raccolto a Managua una percentuale maggiore di voti validi rispetto a quelli ottenuti nel ’90 e nel ’96, il che indica una crescita del suo “zoccolo duro”, che gli consentirebbe di vincere ma soltanto in uno scenario pluripartitico. Pur sapendolo, l’FSLN ha preferito, con il patto, andare in direzione opposta: ridurre il ventaglio di opzioni e misurarsi con il rivale più forte. Che errore madornale!
Astensionismo nella “norma”Per quanto riguarda l’astensionismo, è importante una premessa. Inspiegabilmente, nelle loro dichiarazioni ufficiali, sia i vincitori che i perdenti, tanto gli osservatori internazionali come le autorità elettorali sostengono unanimemente che l’astensione si è ridotta in queste elezioni al punto da non arrivare neanche al 10% degli iscritti nei registri elettorali. Tuttavia, numeri (del CSE) alla mano, tale affermazione viene smentita o, quantomeno, seriamente messa in discussione. A quali registri elettorali si fa riferimento? Difficile dire. In quel paese dell’effimero che è il Nicaragua, nessuno cercherà di spiegare tale contraddizione, modificando o relativizzando le prime analisi. In questo senso, nel dare conto di entrambe le ipotesi, nei paragrafi che seguono l’analisi muove dall’osservare un livello normale di astensionismo, peraltro inferiore rispetto alle elezioni municipali. Mentre nell’articolo precedente l’analisi parte dalla considerazione che la partecipazione al voto sia stata eccezionalmente massiccia.
Sono stati 835.015 i cittadini che non hanno votato o quelli che hanno annullato il voto, per errore o per scelta. Essi rappresentano il 28% degli iscritti. Questa cifra è considerevolmente minore che nel 2000, quando astenuti e voti nulli arrivarono al 44%, però è di quasi quattro punti percentuali superiore all’astensione del 1996. Non sono state, pertanto, queste le elezioni che hanno visto maggiore partecipazione (Tabella 8).
I sondaggi pronosticavano un numero maggiore di astenuti e indecisi. Considerando che ai fini elettorali appaiono come astenuti molti nicaraguensi che vivono all’estero e che non possono esercitare il diritto di voto, i sondaggi avrebbero dovuto calcolare un numero inferiore di potenziali astenuti rispetto all’anagrafe elettorale. Pertanto, la percentuale di astensioni nei sondaggi avrebbe dovuto essere inferiore al numero di persone che non hanno votato. Se così non fosse, vorrebbe dire che il calcolo è ancora più sbagliato di quanto appaia a prima vista, o che, viceversa, all’ultima ora un buon gruppo di indecisi e autoproclamatisi astenuti ha deciso di andare a votare. La paura ha dimostrato di essere un efficace motore della storia. Ha scosso l’apatia politica, un virus che, attraverso il patto e altre delusioni, stava mettendo in discussione il funzionamento del sistema anche se, in quanto indotto, vi si integrava perfettamente.
Dove c’è stata più astensioneI dipartimenti dove si è registrato più astensionismo sono stati la RAAN (51%), la RAAS (40%) il Río San Juan (35%), Rivas (32%) e Chinandega (31%), gli ultimi due diventati “astensionisti” nelle ultime due elezioni a differenza dei primi tre, dove l’astensionismo è assai diffuso da sempre ed anzi sta crescendo. Matagalpa, al contrario, che occupava il quarto posto per astensionismo nel 1996, nelle elezioni del 2001 è stato il secondo dipartimento più partecipativo, con appena il 17% di voti nulli o astenuti. Qui, dal 2000 al 2001, l’astensionismo è diminuito di 22 punti. Nello stesso periodo, a Jinotega è diminuito di 15 punti.
Entrambi i dipartimenti sono severamente colpiti dalla crisi del caffè e alla vigilia delle elezioni sono stati teatro di manifestazioni di lavoratori disoccupati delle piantagioni di caffè che chiedevano cibo e lavoro. Molti pensavano che essi avrebbero punito il PLC per la carestia e le altre disgrazie. Tuttavia, ha potuto di più la memoria. Anche lì, la guerra degli anni Ottanta ha causato ferite che non riescono a cicatrizzarsi. Ecco quindi che la riduzione in percentuale dell’astensionismo coincide quasi esattamente con l’aumento percentuale di voti per il PLC. In altri temrini, ha potuto di più la paura della fame.
Rispetto alle elezioni del 2000, l’astensionismo è diminuito in tutti i dipartimenti e in nove di essi di oltre 15 punti. Tuttavia, in relazione alle elezioni del 1996, è cresciuto ovunque, eccetto che a Matagalpa, Jinotega, nella RAAS e in Nueva Segovia.
I voti nulli – che a volte possono essere considerati come una forma di astensionismo più militante o di “astensionismo incrociato” – sono sempre stati più numerosi fra le schede dell’elezione dei deputati al Parlamento Centroamericano (PARLACEN), segnale inequivocabile della scarsa credibilità di questo organismo regionale agli occhi degli elettori, percepito da molti come lontano, inoperante e molto costoso.
Nel 1996, furono contati 91.587 voti nulli (4,95%) fra le schede per l’elezione di presidente e vicepresidente e 117.506 (6,39%) in quelle dei deputati al PARLACEN. Nel 2001, la scheda per l’elezione dei deputati a livello nazionale è stata quella che ha suscitato maggiore apatia, tanto da far registrare 12.769 voti in meno rispetto alle presidenziali. Ma anche i candidati a deputato nei dipartimenti hanno raccolto 8.294 voti in meno, nonostante la partecipazione di due partiti della costa Atlantica, YATAMA e PAMUC.
Un’assemblea nazionale a due coloriL’Assemblea Nazionale è praticamente bicolore: il rosso “senza macchia” del PLC e il rosso e il nero del FSLN, appena mitigati in modo insignificante dal verde di un unico deputato del Partito Conservatore. L’elezione dei deputati a livello dipartimentale ha premiato chiaramente il PLC, a conseguenza dei calcoli per l’assegnazione dei seggi stabilita dalla legge elettorale riformata dal patto. Sebbene il PLC abbia ottenuto il 53% dei voti validi, l’FSLN il 42% e il PC quasi il 5%, l’assegnazione di seggi a livello dipartimentale a questi tre partiti corrisponde al 58,6%, 40% e 1,4%, rispettivamente. Di modo che, dei 70 deputati eletti per dipartimento, 41 sono del PLC, 28 dell’FSLN e uno del PC, l’unico ottenuto da questo partito, a Managua, dove i managuas gli hanno concesso 36.508 voti, 26.120 in più di quelli dati ai candidati alla presidenza per il PC.
A Managua, il PC ha raccolto il 35% dei suoi voti, sia nelle elezioni presidenziali che in quelle dei deputati. Per gli altri partiti Managua è stata meno decisiva, rappresentando il 25% e il 28% dei voti di PLC e FSLN, rispettivamente. Considerando che Managua rappresenta il 26% degli iscritti nei registri elettorali, è ovvio che il PC sia riuscito ad approfittare ottimamente di questa roccaforte, nonché del “voto incrociato”, soprattutto per effetto della costante denuncia dei mass-media degli scandali causati dal patto liberal-sandinista e per l’enfasi posta in campagna elettorale dal PC nel presentarsi come unica alternativa a tale patto. Senza dubbio anche per la debolezza del PC nell’organizzare una più efficace campagna elettorale nelle zone rurali, per la scarsità di risorse finanziarie e di un adeguato tessuto organizzativo.
Il voto antisandinista delle zone rurali, in passato assai più multicolore, si è tinto di “rosso liberale”. Fino a quando si continuerà a vedere nel PLC l’unico apparato politico sufficientemente consolidato per far fronte all’FSLN, il peso di questo partito nell’Assemblea Nazionale andrà rafforzandosi, a scapito del pluralismo politico.
Il PLC ha superato l’FSLN per numero di deputati in tutti i dipartimenti salvo Estelí, Chinandega, León, Madriz, Nueva Segovia, Masaya e Rivas. Il FSLN ha superato il PLC soltanto a Estelí, una delle sue tradizionali roccaforti. L’FSLN non ha preso neanche un deputato a Boaco, nella RAAS e nel Río San Juan, dipartimenti dove, dalle elezioni del 1990, non riesce ad emergere. Nonostante le previsioni di vari guru della politica nazionale, a Matagalpa il PLC ha ottenuto 4 deputati, contro i 2 dell’FSLN. Matagalpa è stata lo scenario più drammatico della crisi del caffè, nella quale migliaia di braccianti disoccupati sono stati sospinti in città in cerca di cibo. Da questa mobilitazione i politologi traevano la conclusione di un voto sicuramente contro le politiche seguite dal PLC al governo per salvare i produttori di caffè. Ma, la fame ha mostrato di non avere colore politico e il voto è stato motivato da molle più strutturali, storiche o emotive.
I partiti della Costa AtlanticaI partiti regionali della Costa Atlantica hanno ottenuto una minima quantità di voti: 11.139 YATAMA e 3.520 il PAMUC. Nessun loro candidato a deputato è risultato, pertanto, eletto. YATAMA è il partito più forte nella Costa Atlantica, con una lunga tradizione ereditata da movimenti etnici precedenti. Tuttavia, si è sempre caratterizzato per essere composto da molte fazioni, a volte in lotta fra loro, e per non presentare un programma convincente con il quale la popolazione costiera si potesse identificare, per lo scarso seguito di alcuni suoi dirigenti e per l’opportunismo di altri, che stipulano alleanze che non contano sull’appoggio dei Consigli degli Anziani. A ciò si aggiunge la tradizionale sfiducia delle popolazioni della costa caraibica verso le istituzioni “degli spagnoli” del Pacifico e la sensazione dei partiti costeños di non aver alcun potere, né possibilità di influire sulle scelte del governo, in un paese così segnato dal presidenzialismo e dal centralismo. Il risultato è stato il progressivo declino di YATAMA e la rinuncia ad articolare altre opzioni.
Ha perso il pluralismo politicoNell’elezione dei deputati su scala nazionale il PLC ha guadagnato 11 seggi e l’FSLN 9. A questi, oltre ai deputati eletti su scala dipartimentale, si sommano Daniel Ortega – per la legge elettorale che garantisce un seggio in parlamento al candidato del secondo partito – e Arnoldo Alemán – per effetto dell’articolo 133 della Costituzione riformata dal patto –. In tutto saranno, quindi, 53 deputati per il PLC, 38 per il FSLN e 1 per il PC (Tabella 9). Pertanto, nella prossima Assemblea Nazionale, il PLC avrà 11 deputati in più, mentre l’FSLN solo 2 in più: il che dimostra ancora una volta come il patto abbia beneficiato maggiormente il PLC.
Il grande sconfitto di queste elezioni è il pluralismo politico. Se l’Assemblea uscente contava 15 deputati al di fuori delle fila di PLC e FSLN, in quella nuova ci sarà un solo deputato non liberale, né sandinista. Tuttavia, l’evoluzione della congiuntura politica potrebbe riservare delle sorprese in cui l’aritmetica attuale dei gruppi parlamentari potrebbe cambiare di molto. In pratica, potrebbero nascere nuovi gruppi e sottogruppi e molte altre combinazioni e scambi nelle alleanze tattiche: coloro che appoggiano incondizionatamente Arnoldo Alemán, i timidi avventurieri del PLC, quelli disposti a vendersi al miglior offerente, quelli di Cammino Cristiano Nicaraguense alleati del PLC ed eletti nelle sue fila, ma che già cominciano a prendere le distanze in una tardiva lotta per la propria identità…
E verso dove si muoveranno – sempre che si muovano – i deputati danielisti del FSLN?
Il presidenzialismo imperante in Nicaragua potrebbe fare da catalizzatore affinché Bolaños approfitti di fessure fra i presunti fedeli deputati, selezionati uno a uno da Alemán. Minori possibilità di diversificare le opzioni sembra avere il gruppo parlamentare sandinista, composto monoliticamente da deputati incondizionatamente fautori di Daniel Ortega.
Quante sono le donne deputate?La nuova Assemblea avrà un miglior bilancio di genere. Le deputate saranno 20, quasi il 22% del totale dei parlamentari. L’Assemblea Nazionale uscente ne contava solo 10, pari all’11%. Nelle ultime elezioni, il 25% dei candidati a deputato per il PLC nella lista nazionale e il 16% in quella dipartimentale erano donne. Tuttavia, soltanto una di esse figurava nei primi cinque posti in lista e in seggi sicuri.
L’FSLN si è mosso con maggiore equità, almeno numericamente: ha mantenuto un uniforme 30% di donne nelle due liste per il parlamento e dato spazio a 2 donne nei primi cinque posti delle liste nazionali e a 2 negli stessi posti nella lista per il dipartimento di Managua.
Il PC ha presentato appena un 25% di candidate in entrambe le liste, ma nessuna di queste nei primi cinque posti, seppur sapendo, dai sondaggi, che non avrebbe potuto ottenere, nel più favorevole degli scenari, che un massimo di cinque seggi. Il suo unico deputato è un uomo. Solo 6 – appena l’11% – dei 53 deputati del PLC sono donne. Al contrario, l’FSLN ha 14 deputate, il 37% del gruppo parlamentare. Le deputate elette dal PLC corrispondono ad una percentuale assai inferiore di quelle candidate, mentre quelle del FSLN sono in proporzione di più, in quanto c’erano più donne candidate in collegi sicuri nell’FSLN che nel PLC.
Dei 20 deputati nicaraguensi eletti in passato al PARLACEN, 8 (cioè, il 40%) erano donne. Solo l’FSLN ha mantenuto tale proporzione, collocando per di più tre delle sue candidate nei primi cinque posti. Il PLC, al contrario, ha presentato solo 5 candidate (25%), delle quali solo una collocata nei primi cinque posti. La proposta del PC è stata ancora meno generosa con le donne: 4 candidate (20%), delle quali nessuna nei primi cinque posti.
Tuttavia, se in queste elezioni le donne hanno duplicato la propria presenza nell’Assemblea Nazionale, si sono ridotte della metà al PARLACEN. Risultano, infatti, elette soltanto 4 deputate al PARLACEN, 1 per il PLC e 3 per l’FSLN. La percentuale è scesa, dunque, dal 40% al 20%. Posto che soltanto il 9% dei deputati al PARLACEN sono donne mentre nel caso dell’FSLN la quota arriva al 33%, si può concludere che il PLC abbia riservato alle donne spazi perdenti. Sfortunatamente, la preoccupazione di mantenere un equilibrio numerico di genere continua ad essere un punto importante solo nell’agenda del partito che porta avanti un discorso di sinistra. In tal senso, appare un progresso il fatto che gli statuti dell’FSLN si stabilisca un sistema di quote per garantire una più equa rappresentanza femminile.
Daniel Ortega al terzo strike: eliminato?I risultati delle elezioni del 4 novembre si prestano a molteplici interpretazioni e per questo abbondano i politologi. In positivo, potrebbero rappresentare un’opportunità di rinnovamento della dirigenza sandinista e un’occasione perché l’FSLN dispieghi le potenzialità di una Convergenza tessuta con premura nelle ultime settimane di campagna elettorale. È ora che Daniel Ortega accetti che al terzo strike – il riferimento è al gioco del baseball, popolare in Nicaragua, ndr – è stato eliminato e deve cedere il passo ad altri.
Altra lettura: i risultati esprimono il desiderio di andare avanti all’insegna della stabilità e per questo rappresentano un’opportunità perché dal governo si riesca a indebolire il vertice destabilizzante e oltranzista che controlla il PLC. Non è un caso che il giorno seguente le elezioni siano cominciate ad apparire le prove che legano Alemán a vari scandali, informazioni prima non disponibili evidentemente per non compromettere la campagna del PLC. Del resto, neutralizzando Alemán si sfoltirebbero anche le ali più corrotte dell’FSLN, che tanto affabilmente negoziano con lui. Il migliore indizio di questo rinnovamento del PLC starà nella formazione del governo che accompagnerà Alemán (vedi riquadro a pag.3, ndr).
Una società duale che si consolidaIn negativo, i risultati delle elezioni rappresentano un energico sostegno alla società duale: perché le cose continuino come prima, con alcuni che diventano sempre più poveri e altri che vivono in un mondo, che sebbene non sia il Primo, ne condivide alcuni dei suoi tratti: telefonia satellitare e cellulare, alti salari, case al mare, ultimi modelli di auto, centri commerciali, etc..
Il risultato delle elezioni può anche rafforzare l’ostinazione di Daniel Ortega ed è possibile che l’FSLN, come è uso fare, impari qualcosa dagli errori del passato – di qui la svolta strategica segnata dai toni conciliatori con cui Daniel Ortega ha accettato la sua sconfitta – ma non impari molto dagli errori del presente. Ciò che provoca rifiuto non è solo il candidato, ma l’insieme della dirigenza e il suo stile. La Convergenza non è stata credibile perché negli ultimi 10 anni dall’FSLN si sono allontanati politici, donne, intellettuali e contadini che non hanno trovato nel partito il minimo rispetto, né il minimo spazio per esporre le proprie divergenze. E l’FSLN li ha stigmatizzati, fustigati, screditati, calunniati senza pietà, né misura alcuna.
D’altro canto, gli alleati della Convergenza non hanno ottenuto deputati. Hanno negoziato senza prendere in considerazione lo scenario di una sconfitta. Il patto si è dimostrato un clamoroso fallimento per l’FSLN. Il frutto più amaro sarà l’annunciata incoronazione di Arnoldo Alemán a presidente dell’Assemblea Nazionale. L’FSLN aveva convinto la propria base che il patto l’avrebbe portata alla vittoria, ma il saldo finale è rosso – ironicamente “senza macchia”... – per l’FSLN. Purtroppo, l’ingerenza degli Stati Uniti nell’attizzare la paura e appoggiare esplicitamente Bolaños, renderà più facile per il vertice dell’FSLN “vendere” questi fatti alla propria base come i veri motivi della sconfitta, evadendo così le responsabilità.
Sempre in negativo, i risultati prospettano un pericoloso matrimonio: quello tra il settore più potente dell’impresa privata e lo Stato. È poi così conveniente – come è stato accolto – che Bolaños, “l’uomo” dell’impresa privata, si insedi alla presidenza? Il premio Nobel per l’economia Milton Friedman, che difficilmente può essere definito di sinistra, ha descritto nella sua opera più popolare come la combinazione di potere politico ed economico nelle stesse mani sia una ricetta sicura per la tirannia...
Che il nuovo governo faccia in modo che le prossime elezioni ci si confronti sui programmi e non sulle passioni sarà la migliore dimostrazione del suo successo, l’alba della maturità politica. Il Nicaragua smetterà allora di votare per persone o contro persone, per caudillos adulati da uno stuolo di fanatici, e scommetterà sull’istituzionalità. Persone oneste e istituzioni solide: da qui dovrebbe passare il futuro.