NICARAGUA / Il "film elettorale": un brutto copione
Articolo di Nitlapán-envío. Ha collaborato alla traduzione Violeta Ricci Guevara. Redazione di Marco Cantarelli.
Cinque nuove inchieste a livello nazionale realizzate da tre istituti di sondaggio a fine aprile, a metà e fine maggio, confermano che Daniel Ortega e il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) sono in testa nelle preferenze elettorali, al punto da poterla forse spuntare fin dal primo turno delle prossime elezioni presidenziali (per essere eletti al primo turno basta raggiungere il 35% più uno dei voti, altrimenti si va al ballottaggio dove è necessario superare il 45%, ndr).
Le dispute, le dissidenze, i disaccordi e le prese di distanza dei sandinisti “antidanielisti” si dissolvono di fronte ad una crescente certezza del successo dell’FSLN. Si avverte, inoltre, un ambiguo fatalismo pessimista sull’esito del voto nelle fila liberali e nei mass-media governativi. Appare sempre più difficile che i conservatori si decidano a dar vita ad un’alleanza veramente nazionale, ad una “terza via”. Il patto (fra il presidente Alemán e Ortega: vedi bollettini scorsi, ndr) s’è imposto: sono molti coloro che si sentono ostaggi in un vicolo senza uscita; ormai, più che su opzioni libere e convinte, ci si orienta a scommettere sul male minore o si coltivano miraggi e illusioni che mitighino l’incertezza che si profila all’orizzonte.
La pauraI candidati del Partito Liberale Costituzionalista (PLC), nonché lo stesso il presidente Alemán – che si comporta come loro capo nella campagna elettorale – insistono su una strategia elettorale basata sullo scontro con gli avversari sandinisti, sulle provocazioni e sull’incutere paura tra la popolazione, di un eventuale ritorno al governo dell’FSLN. Così, mentre la crisi economica nazionale si aggrava, Alemán non fa che peggiorare la crisi del suo governo nella fase finale del suo mandato, sbandierando tenacemente un antisandinismo avulso dalla realtà del paese.
È unanime la percezione che dopo una vittoria dell’FSLN, proprio perché il suo candidato Daniel Ortega mostra tanti fianchi deboli, si aprirà nel paese un periodo più o meno lungo – sei mesi, un anno? – di incertezze, di congelamento degli investimenti, di “sciopero del capitale”, di aspettative e paralisi, nell’attesa di capire quali saranno le “regole del gioco economico” del nuovo governo. L’annuncio che il 19 luglio prossimo Ortega indicherà i ministri del suo nuovo governo pretende alleviare questa apparentemente inevitabile ansia.
Tuttavia, se la prospettiva di un’eventuale vittoria elettorale dell’FSLN può generare timori in parte della popolazione, non sarebbe giusto attribuire a tale possibilità di successo le tre cause che hanno aggravato la già acuta recessione economica e che costituiscono lo scenario nel quale si “girerà” il film elettorale da qui al prossimo novembre: la crisi del caffè, la crisi della cooperazione estera e la crisi finanziaria. Anche se i potenti fari elettorali che lo illuminano cercano di abbellire le cose a fini di marketing politico, lo scenario è tetro.
Le responsabilitàI problemi del caffè sono strutturali, legati alla attuale congiuntura ribassista dei prezzi internazionali del prodotto e alla sovrapproduzione in nuove aree coltivate nel mondo.
I problemi finanziari sono iniziati con la bancarotta dell’INTERBANK nell’agosto 2000, seguita da quella di altre due banche (BANCAFÉ e BAMER), mentre il BANIC versa in coma. Tali fallimenti sono attribuibili in buona misura alle vistose deficienze istituzionali della Sovrintendenza bancaria e, nel caso di INTERBANK, alla gestione politica che ne ha fatto il presidente Alemán, viziata dal suo viscerale antisandinismo.
I problemi della cooperazione estera sono strettamente legati alla crescente corruzione di cui dà prova il governo.
Le proveDella crisi economica attuale, tanto strutturale come congiunturale, l’FSLN non porta le maggiori responsabilità. La crisi è servita all’FSLN, sempre più sicuro del successo nelle urne, per accreditarsi – in forme tanto reali come teatrali –, come partito di opposizione, promovendo proteste nelle piazze – specialmente in occasione della crisi dei trasporti (vedi a pag. 3, ndr)– nonché iniziative legislative di carattere populistico su problemi economici reali e gravi. Tutto ciò con l’obiettivo di consolidare ed aumentare le clientele elettorali di cui testimoniano i sondaggi. In realtà, negli anni di governo liberal-somozista, l’FSLN ha abbandonato il ruolo di oppositore. Dopo molti mesi di trattative culminate nel patto Ortega-Alemán, alla vigilia delle elezioni l’FSLN si ripropone nel ruolo di “oppositore”, facendo balenare un suo ritorno al governo.
Il montaggioLa crisi del caffè non avrà soluzione senza una strategia di fondo a medio termine. La lotta, dapprima, per la promulgazione della “legge del caffè” e, quindi, la sua cancellazione, esprimono la scarsa lungimiranza, l’incoerenza e la disunione con cui i diversi settori affrontano oggi i problemi nazionali. Medi e grandi produttori di caffè indebitati e timorosi di vedere ipotecate le loro proprietà, hanno inscenato manifestazioni per ottenere che il governo soccorresse le banche creditrici con un sussidio di 25 dollari al quintale (di libbre) per i produttori che possano dimostrare di aver prodotto ed esportato caffè. Fondi di origine taiwanese coprono questa spesa. Tuttavia, sono migliaia, la maggioranza, i piccoli produttori privi di documentazione legale in questo senso, che quindi non riceveranno alcun aiuto dallo Stato per far fronte ai loro debiti.
Dopo la prima manifestazione, i produttori ammessi a fruire dei “buoni” – 3 mila fra medi e grandi su un totale di 30 mila –, hanno ritenuto tali sussidi insufficienti a coprire i debiti, sollecitando un loro aumento a 50 dollari. Nuove manifestazioni si sono svolte per chiedere un provvedimento di legge che impedisse alle banche di pignorare le loro proprietà per un lasso di tempo di due mesi. Dimostrando grande abilità, i deputati dell’FSLN hanno ottenuto che il parlamento estendesse tale periodo a 300 giorni. Cioè, fino a quando sarà insediato il prossimo governo. In questa sequenza confusa tra beneficiari e non, promotori e promossi, è stata approvata il 30 aprile la legge che sospende ogni risarcimento da parte delle banche a scapito dei produttori di caffè indebitati, più nota come “legge del caffè”.
Lo smontaggioNé i “buoni” né il prolungamento dell’agonia di fronte alla prospettiva degli espropri – soluzioni a breve termine ed elettorali – possono risolvere un problema che è strutturale. Per quasi un mese , il paese ha assistito ad un intenso dibattito per disfare una legge appena approvata. In prima fila, fra gli oppositori, i banchieri, in totale disaccordo con la moratoria dei pignoramenti hanno annunciato che, senza garanzie, non finanzieranno più la produzione di caffè. Ma, in prima fila c’erano anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ed il Banco Interamericano de Desarrollo (BID), che si sono pronunciati pubblicamente contro la “legge del caffè”, respingendo l’intervento dello Stato in un conflitto tra produttori privati e banche private. Gli organismi internazionali che dominano l’economia nazionale hanno espresso la loro contrarietà per l’indebolimento istituzionale che implica la legge. Stretto dalle pressioni interne ed estere, il presidente Alemán, che aveva appoggiato incondizionatamente la legge dichiarando persino di voler marciare alla testa dei dimostranti in quanto «uno dei produttori di caffè in crisi», ha quindi accusato l’FSLN di promuovere una legge «populista».
Il peccatoLa logica elettoralistica e imprevidente con la quale gli uni e gli altri hanno affrontato il problema del caffè è culminata nel fatto che alcuni produttori che pure avevano partecipato alle manifestazioni ed alcuni deputati che avevano proposto il prolungamento della moratoria alla fine hanno accettato il veto posto dal presidente della Repubblica sulla legge che sospendeva i pignoramenti. A sua volta, il veto, che rimetteva alcune cose a posto, è stato bersaglio di nuove proteste, senza peraltro offrire una soluzione alla disperazione e alla violenza latente in cui nelle zone di produzione del caffè vivono migliaia di produttori, del tutto emarginati dal finanziamento bancario, alcuni già incarcerati, molti altri con proprietà espropriate e perse.
Nell’approvare la “legge del caffè”, il governo ha avallato, per la prima volta nei suoi anni di mandato, una legge in cui lo Stato abbandona il suo ruolo di “facilitatore”, per intervenire nel funzionamento dei mercati finanziari. Spinto dalla pressione dell’FSLN, il governo del PLC ha commesso così un “peccato mortale” per il dogma neoliberista.
Lo scontentoQualcosa di simile, di uguale taglio elettoralistico, è successo qualche mese fa quando i deputati liberali hanno approvato in parlamento una legge contro l’usura, su iniziativa anche dell’FSLN. Tale legge riforma il quadro giuridico delle istituzioni microfinanziarie, stabilendo un tetto al tasso di interesse da applicare ad un credito, perché resti inferiore al tasso di interesse massimo del sistema finanziario nazionale.
La posizione dell’FSLN trova fondamento in alcune realtà critiche. È certo che alcune istituzioni di microcredito – sostitute degli scomparsi Banco de Crédito Popular e Banco Nacional de Desarrollo – forniscono a commercianti dei mercati e piccoli coltivatori agricoli prestiti a tassi eccessivamente alti senza alcun controllo da parte dello Stato: il caso più evidente è quello delle imprese di microfinanza legate al fallito Banco del Café, che esigevano oltre il 60% annuo. In questa situazione, l’FSLN ha “cavalcato” il problema reale di prestiti a tassi usurai per guadagnare consensi a livello locale, fra i settori indebitati e scontenti, tanto nelle città come nelle campagne. E siccome non c’è lotta se non sono visibili i “colpevoli”, quest’ultimi sono stati identificati nelle microfinanziarie. Tale percezione opportunistica è all’origine della cosiddetta legge contro l’usura.
I vuotiLa ricerca di soluzioni a breve termine di solito genera incoerenze. Attualmente, le istituzioni di microfinanza associate alla ASOMIF distribuiscono crediti per 330 milioni di córdobas (circa 25 milioni di dollari) a 45 mila clienti, 20 mila dei quali nel settore agricolo e zootecnico. La legge contro l’usura ha aperto vuoti economici, causando un effetto perverso: le microfinanziarie stanno chiudendo e lo spazio che lasciano viene riempito da un numero crescente di usurai. La soluzione alla scarsità di crediti e agli alti interessi usurai non sta unicamente nello stabilire limiti al tasso di interessi; lo Stato dovrebbe incentivare adeguatamente le istituzioni microfinanziarie perché facciano da intermediarie tra le risorse estere ed i programmi di formazione. Ciò che l’attuale governo non ha fatto. Il prossimo lo farà?
Nonostante il fatto che gli organismi multilaterali sono soliti considerare le istituzioni microfinanziarie come marginali nell’economia, l’ambasciata degli Stati Uniti in Nicaragua ha inviato una lettera di protesta alla Assemblea Nazionale a seguito dell’approvazione della legge sull’usura. Banchieri, microfinanziarie, aziende che commerciano prodotti agricoli ed imprese esportatrici hanno unito la loro voce contro la legge del caffè e quella contro l’usura, sollecitando i legislatori a trovare soluzioni caso per caso, piuttosto che mediante leggi generiche. Ne saranno capaci? Avranno la volontà di farlo?
Il “marchio”Nel segnalare le microfinanziarie come le uniche responsabili del problema e, quindi, ponendo un limite al tasso di interesse da queste applicato – che non può superare il 16-18% annuo –, l’FSLN finge di non sapere che il microcredito ha dei costi e rischi più alti del credito tradizionale bancario, ancora più alti quando queste “piccole banche” si spingono in zone montagnose ed isolate dove non arriva alcuna banca commerciale. Qualsiasi banca nicaraguense applica un tasso di interesse non inferiore al 30% annuo se si tratta di un credito per l’acquisto di un veicolo; tuttavia, la cosiddetta legge contro l’usura obbliga una microfinanziaria che lavora, fra mille ostacoli, a Wiwilí – dove, per inciso, la nostra associazione ANS-XXI, in consorzio con l’ACRA, ha sostenuto negli ultimi anni le attività della succursale di Nitlapán-FDL (Fondo de Desarrollo Local), ndr – con piccoli produttori ad alto rischio ad applicare un tasso di interesse che è quasi la metà di quello poc’anzi citato. Di conseguenza, difficilmente riuscirà a sopravvivere. E, così, migliaia di piccoli imprenditori rurali ed urbani, che sono poi quelli che garantiscono la produzione e la distribuzione di alimenti a livello nazionale, nonché buona parte delle esportazioni agricole, resteranno senza crediti.
Le discusse leggi sul caffè e contro l’usura hanno come denominatore comune un intervento statale nei mercati finanziari, con il proposito di alterare l’equilibrio di potere fra le istituzioni finanziarie ed i suoi clienti. Entrambe le leggi risentono del carattere populista del sandinismo, che potrebbe portare all’FSLN consensi elettorali, ma anche approfondire le diffidenze del settore imprenditoriale, della cooperazione internazionale e delle istituzioni multilaterali nei confronti di un futuro governo di questo partito.
Il crolloA metà maggio, è arrivata in Nicaragua una missione dell’FMI per esaminare la continuità del Programma di Aggiustamento Strutturale (ESAF, Enhanced Structural Adjustment Program), la cui seconda fase è iniziata nel 1998. Due settimane dopo, la missione ha lasciato il paese senza certificare il compimento del governo di Nicaragua delle condizioni previste.
Il prolungato impasse nel quinto negoziato tra governo e FMI – i negoziatori hanno dovuto trasferirsi da Managua a Washington – ha significato il crollo della strategia economica del governo liberale per quest’anno elettorale. Fondamento di tale politica era l’aumento della spesa pubblica in grandi opere che per la loro visibilità attraessero consensi elettorali al governo e stimolassero la prostrata economia del paese. In questo modo, si cercava di ovviare alla prevedibile paralisi degli investimenti privati a conseguenza delle incertezze proprie del processo elettorale. Tuttavia, la crisi nazionale è così acuta che qualsiasi strategia diventa tattica e qualsiasi tattica viene meno in pochi giorni.
Il calcoloA fine 2000, pur sapendo che il deficit fiscale – entrate da imposte e donazioni estere, meno le spese fiscali – si annunciava di quasi 100 milioni di dollari nel bilancio preventivo del 2001 inviato dalla Presidenza della Repubblica al parlamento, i deputati lo hanno irresponsabilmente approvato. L’idea del governo era quella di coprire il “buco” nel corso del 2001 con i proventi della privatizzazione dell’azienda di telecomunicazioni ENITEL e delle centrali elettriche dell’ENEL, oltre a risorse estere che avrebbero dovuto arrivare per finanziare il processo elettorale. Il calcolo si è rivelato completamente sbagliato.
L’acuta crisi finanziaria del primo semestre di quest’anno ha messo in evidenza il surrealismo del bilancio preventivo del governo. Non solo quest’ultimo non ha raccolto i 100 milioni di dollari di cui aveva bisogno per coprire il deficit fra entrate ed uscite, ma la recessione economica interna ha ridotto la raccolta fiscale, che in Nicaragua dipende soprattutto dalla tassazione indiretta dei consumi. Inoltre, anche le donazioni sono state inferiori alle aspettative del governo.
Il razionamentoIn maggio, il ministero del Tesoro ha reso noto che la raccolta fiscale ha raggiunto l’85% degli obiettivi previsti, mentre il paese aveva ricevuto unicamente il 20% delle donazioni attese nel primo semestre dell’anno. Tale drastica diminuzione delle donazioni non si spiega con il fatto che questo governo abbia i giorni contati. Nell’ultimo anno del governo di Violeta Barrios de Chamorro, il 1996, gli aiuti internazionali furono molti, persino superiori a quelli del 1995. La lentezza nei finanziamenti al governo liberale si spiega con ragioni politiche: la decisione dei donatori di frenare, ricorrendo a scuse tecniche e burocratiche, il flusso di aiuti esteri, scioccati e ormai stufi della corruzione governativa nella gestione dei fondi.
La gravità della situazione è tale che il governo ha organizzato una commissione di emergenza che si riunisce settimanalmente per quantificare le entrate e distribuirle razionalmente fra ministeri ed enti statali. La scarsa liquidità disponibile spiega il ritardo nei pagamenti degli stipendi ed i tagli imprevisti – dei fondi e, perfino, dell’acqua e della luce – che si osservano da alcuni mesi in diverse istituzioni dello Stato.
I numeriIl deterioramento della situazione economica interna è legato anche dalla fuga di capitali, che ha preso il sopravvento dopo la bancarotta dell’INTERBANK e che non si è fermata in questi mesi: tra l’agosto 2000 e il febbraio 2001, i depositi a termine fisso nel sistema finanziario nazionale sono scesi di 40 milioni di dollari. Un’altra cifra rivela la gravità della crisi: il credito bancario al settore privato è sceso nello stesso periodo di 3 miliardi di córdobas (circa 225 milioni di dollari). In questo contesto, la crisi finanziaria in cui versa il BANIC – dove sono in gioco capitali dei più alti funzionari del governo – acutizza la crisi e continua ad essere un problema scottante e aperto per il governo Alemán.
L’ossigenoLa crisi è evidente. Fonti indipendenti ritengono che il tasso di crescita economica sarà quest’anno solo del 2%, cioè metà della media annua del 4% fatta registrare dall’attuale governo. Di conseguenza, la crescita economica pro capite in Nicaragua sarà quest’anno negativa, fenomeno preoccupante che non si osservava dal 1993, quando il paese era ancora prostrato dagli effetti della guerra degli anni ’80. Con la crisi dei prezzi del caffè, la crisi nell’agro è lampante. Nelle città, essa è alleviata dal flusso di rimesse familiari dall’estero, l’ossigeno quotidiano che insieme al crescente riciclaggio di dollari “sporchi” provenienti dal narcotraffico, impedisce l’asfissia totale dell’economia.
I privilegiCom’era da aspettarsi, la missione dell’FMI che ha visitato il paese in maggio per verificare gli obiettivi dell’ultimo anno dell’ESAF ha bocciato il bilancio preventivo segnato dal vistoso deficit e chiesto al governo di ridurre sensibilmente la spesa pubblica. Di fronte alle pressioni dell’FMI, il governo ha preso una prima decisione, risultata polemica e poco significativa per garantire il risparmio: ha ridotto la giornata lavorativa nelle istituzioni pubbliche centrali, dalle 7 del mattino alle 2 del pomeriggio; così, ha dichiarato, si risparmierà – fra acqua, luce, aria condizionata e mense – una buona percentuale di quanto richiesto dall’FMI. Niente più lontano dalla realtà. Economisti indipendenti hanno criticato il provvedimento, che farà risparmiare, secondo loro, soltanto 43 milioni di córdobas (poco più di 3 milioni di dollari), mentre una riduzione dei mega-salari, diarie e privilegi appannaggio degli alti funzionari del governo porterebbe ad un risparmio maggiore: circa 5 milioni di dollari, cifra che si incrementerebbe ulteriormente se si tagliassero alcune voci di bilancio, quali fondi segreti e discrezionali utilizzati per ingrassare le fortune personali degli alti burocrati di governo.
La bandieraEra logico che l’FMI reagisse negativamente di fronte a un bilancio così squilibrato. Piuttosto, come mai il governo non l’aveva previsto? Il suo calcolo politico era lo stesso di cui abusa in politica interna: presentarsi come accettabile e perfino plausibile solo perché inalbera la bandiera dell’antisandinismo, “vendersi” come l’unico che può fermare la “minaccia” di un ritorno al potere di Daniel Ortega, e per questa “missione” ricevere appoggio, nonostante gli errori, l’inefficienza e la corruzione.
Il governo di Alemán aveva calcolato che in quest’ultimo anno di presidenza avrebbe ricevuto un trattamento simile a quello dato a doña Violeta al termine del suo mandato, quando nonostante le inadempienze che fecero uscire il Nicaragua dall’ESAF, l’FMI diede vita al cosiddetto Piano Ombra, garantendo così che gli aiuti internazionali arrivassero copiosi: 540 milioni di dollari. Oggi, però, allo scadere del mandato di questo governo e di fronte alla prospettiva di una vittoria dell’FSLN, l’FMI si mostra inflessibile ed esigente più che mai, prevedendo che la macroeconomia sarà ingestibile fra pochi mesi con un governo sandinista.
Le pressioniGli organismi multilaterali, l’FMI e la Banca Mondiale, hanno esercitato pressioni sul governo nicaraguense esigendo risultati e il rispetto delle condizioni poste. Tuttavia, gli stessi organismi multilaterali ricevono a loro volta pressioni dai donatori bilaterali, che non sono d’accordo con il sostegno e la flessibilità a favore del governo nicaraguense. La comunità internazionale – specialmente i governi europei – sono profondamente scandalizzati ed arrabbiati per gli osceni livelli di corruzione e gli sprechi del governo di Arnoldo Alemán, in particolare per la sua incapacità di correggersi nonostante le avvertenze e perfino le minacce.
Tuttavia, per gli Stati Uniti, oggi governati dal figlio di George Bush, i motivi di preoccupazione sono altri, fondamentalmente di politica estera: con l’eventuale ritorno al potere di Daniel Ortega, gli USA temono il costituirsi di un asse Cuba-Venezuela-Colombia-Nicaragua. E le pressioni del governo Bush sull’FMI e sulla Banca Mondiale sono notevoli.
I comandamentiIl 1 giugno scorso, parlando ai soci nicaraguensi della Camera di Commercio Americano-Nicaraguense in un lussuoso albergo della capitale, Lino Gutiérrez – oggi sottosegretario di Stato aggiunto per l’Emisfero occidentale nel nuovo governo Bush, dopo essere stato ambasciatore USA a Managua fino al 1999 –, ha appoggiato senza condizioni l’antisandinismo governativo. Nel suo discorso, Gutiérrez si è detto convinto sia che Daniel Ortega vincerà le elezioni sia del tipo di atteggiamento del governo Bush in caso di vittoria sandinista. Dopo aver espresso il tradizionale desiderio che le elezioni siano libere, giuste e trasparenti, e l’altrettanto abituale promessa di fornire assistenza tecnica al Potere Elettorale e di inviare osservatori, Gutiérrez ha posto le condizioni perché le relazioni con il prossimo governo nicaraguense siano “eccellenti”. Quest’ultimo dovrà:
- Dimostrare il suo rispetto delle pratiche e dei principi democratici.
- Rispettare i diritti umani e la proprietà privata.
- Impegnarsi per la trasparenza nell’amministrazione pubblica e combattere la corruzione.
- Partecipare alla lotta contro il narcotraffico, il traffico di immigrati illegali e altri crimini organizzati di ordine internazionale.
- Propiziare un clima favorevole al libero mercato e agli investimenti stranieri.
- Evitare il contatto con Stati che costituiscono una minaccia per il mondo e appoggiano il terrorismo, o che in altri aspetti non condividono i valori della comunità mondiale.
L’agendaMa è stato nel trattare quest’ultimo punto di politica estera, che Gutiérrez, in toni assai poco diplomatici, ha criticato più volte Daniel Ortega e l’FSLN, partendo dalle relazioni di amicizia tra Ortega, Fidel Castro e Gheddafi. Gutiérrez ha concluso «rassicurando il popolo nicaraguense che non è stato dimenticato e che non sarà abbandonato».
L’agenda elettorale che il rappresentante degli Stati Uniti è venuto ad imporre in Nicaragua si basa sugli interessi di politica estera della grande potenza. Niente ha a che vedere con l’agenda interna dell’elettorato nazionale, in maggioranza ingannato da un governo che lo ha impoverito con la sua corruzione vorace, e in buona parte arrabbiato di fronte alla mancanza di democrazia e all’autoritarismo rampante di Arnoldo Alemán, che a proprio vantaggio – più che del suo partito e meno ancora della nazione – ha pattuito con quel Daniel Ortega, che preoccupa tanto gli Stati Uniti, una legge elettorale che esclude altre forze e altri cambiamenti costituzionali, che sono poi quelli che forse permetteranno a Ortega di tornare al potere.
L’appoggioA nessuna di queste inquietudini dell’agenda nazionale si è riferito Gutiérrez. Tuttavia, il sostegno al governo Alemán, per il solo fatto di inalberare la bandiera antisandinista, ha funzionato. Sgomberando qualsiasi dubbio interpretativo circa le promesse di Gutiérrez di non “dimenticare”, né di “abbandonare” il Nicaragua, 72 ore dopo il suo discorso, il presidente Alemán annunciava, con sollievo e arroganza, che nel negoziato del governo nicaraguense con l’FMI a Washington, il Fondo concedeva nuovo ossigeno per gli ultimi sei mesi del suo governo: un prestito di 127 milioni di dollari.
Anche se l’importo è insufficiente ed anche se dovesse arrivare troppo tardi per risolvere gli innumerevoli problemi economici che ha sulle spalle Alemán, è evidente che gli Stati Uniti si sono mossi perché l’FMI inietti liquidità nell’economia nicaraguense negli ultimi mesi di questo governo. Ciò che non ha detto Alemán è che l’FMI mantiene l’esigenza di un drastico taglio del deficit fiscale.
Alemán ha anche annunciato che prima della fine dell’anno sarà in Europa per negoziare con i paesi del Club di Paris la partecipazione del Nicaragua all’iniziativa HIPC (Heavily Indebted Poor Countries: Paesi Poveri Fortemente Indebitati). Come sarà ricevuto in Europa? È possibile, in questo senso, che l’entrata del Nicaragua nella HIPC sia rinviata al gennaio 2002, perché gli organismi internazionali possano utilizzare quel negoziato come elemento di pressione sull’eventuale nuovo governo dell’FSLN.
La sfidaL’FSLN sa perfettamente che non può governare senza l’appoggio degli organismi multilaterali e che non può aspirare ad alcuna cooperazione bilaterale senza tale sostegno. In ogni modo, è prevedibile che il programma di aggiustamento strutturale amministrato dall’FSLN contenga alcune variabili, alcune volte a guadagnare consensi fra la maggioranza povera del paese, ed altre orientate a guadagnarsi la fiducia dell’FMI.
Tra i punti presentati dall’FSLN in maggio, in una sorta di pre-programma di governo, spicca l’annuncio che la banca centrale sarà totalmente indipendente, proposta che esigerà la riformulazione dell’attuale legge. Con questo punto, l’FSLN accoglie una delle raccomandazioni dell’FMI, che si batte in tutto il mondo per l’indipendenza delle banche centrali dai governi; cosa che Alemán ha fatto solo a metà. Tale indipendenza può garantire un sistema bancario amministrato con maggiore trasparenza.
L’illusioneSe per iniziare a risolvere alcuni aspetti della crisi finanziaria, l’FSLN offre l’indipendenza della banca centrale, mentre per far ripartire la cooperazione estera ha nelle sue mani la possibilità di affrontare seriamente e esemplarmente il problema della corruzione – che poi abbia voglia di farlo resta da vedere –, per il problema strutturale del caffè l’FSLN non ha alcuna risposta. Tuttavia, farà credere che ce l’ha. Perché così vuole il “marketing del film elettorale”, come ha riconosciuto, dopo il quarto sondaggio favorevole a Daniel Ortega, Dionisio Marenco, suo braccio destro in tutte le scelte strategiche, a partire dal patto fino alle elezioni: «Qui c’è una situazione così difficile – afferma Marenco – che vincerà chi riuscirà a suscitare speranze e illusioni. Io non sono in grado di fare salire i prezzi del caffè, nessuno può farlo, ma chi vota deve credere che io posso farlo».
Il dilemmaNel negoziato di un nuovo governo sandinista con l’FMI, un punto chiave sarà la misura del deficit fiscale che sarà permesso all’FSLN una volta arrivato al potere. Dopo aver affrontato delusioni e ravvivato speranze, dopo aver risuscitato nostalgie e venduto illusioni, il dilemma economico per l’FSLN sarà come amministrare, fra tante restrizioni, un bilancio che favorisca «un’economia di mercato di carattere umanista», come recita la propaganda sandinista, che dia risposte alle domande sociali accumulate e che faccia diventare realtà alcune delle illusioni di quanti voteranno per l’FSLN. Per quest’ultimo, è cruciale convincere la comunità internazionale che la sua sarà un’amministrazione macroeconomica corretta. Ma, l’FSLN dispone di una squadra capace e credibile per tale compito, in uno scenario nazionale reso così fragile dalla crisi ed in uno scenario internazionale segnato da tante diffidenze nei suoi confronti? Non c’è alcun indizio in questo senso.
Il caosLa crisi finanziaria, quella del caffè e dei trasporti, le leggi approvate e dopo annullate, l’indolenza e la pigrizia governativa nel negoziare con “senso di nazione”, il vuoto di potere, la mancanza di leadership, l’evidenza quotidiana del danno che il patto Alemán-Ortega causa in tutte le istituzioni, polarizzandole secondo la volontà dei due caudillos, stanno inquinando sempre più il clima elettorale, già all’insegna dell’esclusione.
Così cupo appare a volte lo scenario che non è da escludere che l’attuale governo tenti di gettare il paese nel caos facendo leva su decine di problemi reali irrisolti, per arrivare ad una sospensione delle elezioni piuttosto che patire una sconfitta elettorale alla quale non è preparato e non sembra intenzionato a prepararsi. Sarebbe irresponsabile, ma tant’è. L’altro scenario, fatto di elezioni polarizzate e tese, che indichino un virtuale “pareggio” fra le forze in campo, non è più incoraggiante: il caos arriverà dopo il voto.