NORD/SUD / Bananeras: quando lavorare significa avvelenarsi
Dedichiamo questo supplemento ad una meritoria campagna lanciata dalla Associazione Nazionale di Amicizia e Solidarietà Italia-Nicaragua a favore dei lavoratori nicaraguensi delle piantagioni di banane, che hanno fatto causa ad una serie di multinazionali che per anni hanno prodotto e impiegato, in coltivazioni sparse in vari paesi, un pesticida particolarmente dannoso per la salute umana e l’ambiente: il DBCP, secondo l’acronimo derivato dalla sua formula chimica.
Di Marco Cantarelli.
Prima che venissero scoperti i suoi terribili effetti, passarono al solito anni. Quando dei lavoratori statunitensi se ne accorsero sulla loro pelle, questi fecero causa all’azienda produttrice presso cui lavoravano, e la vinsero. Gli Stati Uniti allora bloccarono la produzione. Ma, come smaltire le scorte accumulate nei magazzini? Semplice e tremendo allo stesso tempo: come spesso accade, il Terzo Mondo fece da discarica e così i lavoratori latinoamericani, asiatici e africani continuarono a usarlo per anni ancora, senza protezione, giacché “era loro di impaccio” e frenava il ritmo produttivo. Poi, anche i lavoratori del Sud del mondo fecero sentire la loro voce, a volte a prezzo della loro vita: in Costa Rica, i Honduras, ora anche in Nicaragua. Queste pagine sono, dunque, dedicate alla memoria di quanti sono morti, agli uomini che sono diventati sterili e alle donne che hanno avuto figli deformi, a quanti si sono ammalati e contano le ore che li separano dalla fine delle loro sofferenze, a causa dell’esposizione prolungata e priva di protezione a quel veleno. Il cui uso, per inciso, continua ad essere raccomandato in manuali di agronomia di varie università in giro per il mondo! Provare per credere, con un buon motore di ricerca, in Internet ne troverete delle “belle”. Ciò, nonostante siano stati provati ed accettati scientificamente i danni che tale sostanza provoca alla salute umana e all’ambiente. Anche questi ampiamente documentati nella Rete. La lotta dei lavoratori delle bananeras, in Nicaragua come in altri paesi, è, dunque, una questione di giustizia, di dignità sul lavoro, di rispetto ambientale, di civiltà. In questo senso, interroga il Nord del mondo e quindi anche noi, consumatori di banane, che ne facciamo parte.
Una lotta emblematicaIl bel frutto giallo che vediamo esposto nella maggior parte dei mercati e supermercati suscita spesso domande che le rassicuranti campagne di pubblicità delle multinazionali del settore sempre meno riescono a frenare in gran parte dei consumatori: quali e quanti agro-chimici sono state usati per farle diventare così “belle e gialle”? Tali sostanze comportano rischi per la salute umana di chi produce e mangia quelle banane, e per l’ambiente in cui esse crescono?
Se è innegabile che la maggiore attenzione e la crescente preoccupazione dei consumatori riguardo questi aspetti abbiano favorito l’abbandono di molti prodotti, che altro non erano che tremendi veleni, è altrettanto vero che le sequele del loro uso prolungato e indisturbato continuino tuttora, a danno delle persone che ne sono venute a contatto, degli altri esseri viventi e di quelle sostanze vitali come l’acqua, proprie di quegli ecosistemi.
Uno di quei pesticidi assassini è il Nemagón, utilizzato per eliminare un parassita che impediva l’esportazione di questa frutta negli Stati Uniti, ma anche perché aumentava la produzione e migliorava l’aspetto estetico delle banane.
Tuttavia, tumori, infertilità, incapacità al lavoro, deformazioni, malformazioni congenite, caduta di capelli, delle unghie, della pelle, cecità progressiva, alterazioni nervose, sono solamente alcune delle conseguenze dell’uso indiscriminato di pesticidi da parte delle multinazionali sui lavoratori delle bananiere del Nicaragua e, in generale, di tutto il Centroamerica.
Intervista
Parla Victorino Espinales Reyes, leader della lotta dei lavoratori delle piantagioni di banane contro le multinazionali del settore, rimasti vittime dell’uso e abuso di pesticidi dannosi per la salute umana e per l’ambiente.
Intervista di Giorgio Trucchi, dell'Associazione Italia-Nicaragua. Redazione di Marco Cantarelli.
Quando inizia la coltivazione di banane su scala agroindustriale in Nicaragua?
La storia delle piantagioni di banane in Nicaragua si sviluppa in cinque fasi.
La prima inizia intorno al 1910-1912, nella costa atlantica: ma si tratta, perlopiù, di coltivazioni spontanee e poco curate; tuttavia, non si dispone di molte informazioni su quel periodo.
La seconda fase inizia negli anni ’60, stimolata da un progetto di quello che allora si chiamava Instituto de Fomento Nicaragüense a la Producción (INFONAP). Ma anche quella fase non durò molto, perché non rispondeva ai bisogni delle multinazionali del settore. In pratica, la produzione veniva gestita da privati che, di proprio, mettevano i terreni e parte del capitale, dallo Stato che metteva il capitale e assicurava l’esonero dalle imposte, e dalle multinazionali con mettevano a disposizione la loro capacità tecnica e commerciale. Andò avanti per 4 o 5 anni. In quel periodo, fecero apparizione i prodotti chimici usati per debellare i parassiti delle piante, ma le quantità erano minime: fra questi, il Nemagón, chimicamente noto come DBCP, cioè dibromo-3-cloropropano. A quel tempo, io avevo 12-13 anni ed aiutavo mio padre nelle piantagioni. Allora, c’era la Chiquita, ma per noi tutte le multinazionali sono la stessa cosa: hanno una sede centrale negli USA e fingono di essere separate, cose diverse, ma sappiamo che i loro obiettivo, contenuto e linea economica sono uguali. Per esempio, la Standard Fruit, che se ne era andata, ma ora sembra voglia tornare, possiede la licenza commerciale, mentre la Chiquita è quella che si incarica del trasporto. Ma, tornando all’uso del Nemagón, questo veniva iniettato con grosse siringhe da 2 galloni e mezzo (circa sette litri e mezzo, ndr) in tre buchi intorno alla pianta, dove c’erano le radici. Ciò serviva ad eliminare i parassiti terrestri come il gusano barrenillo, il cuerudo e altri funghi.
A partire dal 1968, INFONAP uscì di scena e arrivò la Standard Fruit Company (SFC) che, allora, era sconosciuta in Nicaragua, mentre era già presente in Costarica ed Honduras, fra gli altri paesi. Questa cominciò a fare analisi del suolo, delle strutture, delle vie di comunicazione e decise che il Nicaragua era un ottimo posto in cui investire. Ovviamente, ciò che interessava alla Standard era il profitto e non certo il beneficio sociale e la salute della gente.
Per iniziare la produzione su larga scala avevano, tuttavia, bisogno di alcune condizioni: strade accessibili, buone terre, un porto vicino per l’imbarco della frutta e lo sbarco dei beni di produzione, una manodopera forte, instancabile e a basso costo. La zona di Chinandega, nel nord-ovest del paese, godeva di tutte queste condizioni. Chinandega, Posoltega, Chichigalpa, El Viejo, Tonalá, Puerto Morazán, Corinto e Villa 25 de Julio, che a quel tempo dipendevano dalla produzione del cotone, ormai in crisi, divennero zone di produzione di banane.
A partire dagli anni ’70, prese il via un’altra fase in cui le multinazionali strutturarono il territorio in base ai propri bisogni. In pratica, le terre restavano in mano private che le affittavano alle multinazionali ma, in effetti, erano queste ultime a controllare tutto il processo produttivo e commerciale. Il proprietario della terra era solo un alleato, ma erano la Standard Fruit Company, come azienda produttrice, e la Dole, come compagnia trasportatrice, a controllare il settore.
In quell’epoca, si produssero forti cambiamenti nel sistema produttivo: il lavoro divenne più tecnicizzato; migliorò notevolmente la produzione in termini sia di qualità che di quantità; entrarono in funzione nuovi sistemi di irrigazione con cannoni alti 3 metri che sparavano l’acqua a 80 metri di distanza. Allo stesso tempo, però, peggiorava la situazione dei lavoratori che dovevano fare turni massacranti con un salario misero ed un’alimentazione pessima.
A partire da allora si cominciò ad utilizzare in modo massiccio e continuato il Nemagón, sia mediante le siringhe che i cannoni per l’irrigazione, capaci di una pressione di 160 libbre (circa 72 chili, ndr). In quel modo, notammo che venivano “controllati” i parassiti terrestri, ma anche quelli aerei; le piante diventavano così molto più alte, frondose ed il casco di banane passò a pesare da 110-120 libbre (49-54 chili, ndr) a 160-170 libbre (72-77 chili, ndr) ottenendo, per ciascun casco, fino a 2 casse e mezzo di banane. Ad un certo punto, però, notammo che, oltre a uccidere i parassiti, il pesticida uccideva qualsiasi forma di vita animale che si aggirasse tra i banani: galline, uccelli, rospi, serpentelli, formiche. La cosa cominciò ad insospettirci, ma mai avremmo immaginato e, comunque, mai nessuno ci avvisò dei rischi che tale prodotto potesse provocare danni alle persone; mai ci impartirono un corso o diedero delle informazioni su come proteggerci, su quali metodi usare per prevenire i danni che il Nemagón causava.
Un’altra cosa che scoprimmo fu che il prodotto veniva cosparso solo di notte, altrimenti di giorno sarebbe evaporato per l’alta temperatura, evaporando prima di poter rendere effettivo il suo potenziale.
Si continuò così fino a fine anni ’70. Nel 1979, arrivò la Rivoluzione Sandinista che rovesciò la dittatura somozista e confiscò le proprietà della dinastia dei Somoza e dei loro maggiori alleati, soprattutto della Guardia Nazionale.
Le bananeras, tuttavia, non furono confiscate perché i proprietari non erano schierati con Somoza ed il suo partito, ma lo avevano appoggiato in quanto quello era l’unico modo per poter operare in Nicaragua in quel tempo. Uno solo di essi, Alfonso Deshon Callejas, era stato somozista, tanto da occupare la carica di vicepresidente della Repubblica.
Nel 1980, come lavoratori, chiedemmo quindi al governo che intervenisse nelle bananeras per difendere i nostri diritti, continuamente calpestati. Il governo sandinista decise, allora, di non espropriare le terre, ma di prendere in mano la politica economica, commerciale, amministrativa e produttiva del banano. Di conseguenza, nel 1982, le multinazionali abbandonarono il paese senza onorare un contratto di 4 anni e mezzo per la produzione già fatta.
Lo Stato formò, allora, due imprese: la EMBANOC, che si occupava della produzione, e la BANANIC INT., incaricata invece della commercializzazione. A causa dell’embargo degli Stati Uniti e della guerra della Contra, si riuscirono sì ad aprire nuovi mercati, ma la produzione crollò, passando da 6 milioni e mezzo di casse per anno a 2 milioni nel corso degli anni ’80.
Nel 1990, dopo la sconfitta elettorale dell’FSLN e l’elezione di Violeta Barrios de Chamorro, ebbe inizio la quinta fase della storia del banano nel nostro Paese. Il nuovo governo, come primo passo, sospese un processo contro la Standard Fruit avviato dal governo sandinista nel 1987 presso la Corte Suprema dell’Aja per lo sfruttamento dei lavoratori nicaraguensi durante gli anni ’70 e per il mancato pagamento dell’usufrutto delle piantagioni. Quindi, venne sciolto EMBANOC ed il controllo delle terre venne restituito ai vecchi proprietari.
Così, nel 1992, ritornò la Chiquita Brand e nei prossimi mesi tornerà anche la Standard Fruit.
La produzione tornò a crescere: 3 milioni e mezzo di casse nel 1992 che divennero 5 milioni a fine decennio.
Oggi, purtroppo, si è tornati esattamente alla situazione degli anni ’70 : sono le multinazionali a definire le regole della produzione, del commercio, gli aspetti tecnico-amministrativi, mentre i privati, proprietari delle terre, sono solo figure decorative, non potendo produrre senza l’appoggio delle multinazionali e, inoltre, dovendo sobbarcarsi l’onere della contrattazione e della gestione della manodopera.
Oggi, in tutto i lavoratori sono circa 3.800 - 4.200; soltanto 600 di essi fanno parte della vecchia guardia; gente che ha 45-50 anni e che non regge più questo tipo di lavoro. La maggior parte dei nuovi sono giovanissimi tra i 16 ed i 22 anni, quelli che io chiamo “la nuova classe operaia”: lavorano ancora in condizioni pessime, hanno contratti a termine che vengono rinnovati solo se si comportano bene e non creano problemi, guadagnano circa 1 dollaro nelle 8 ore di lavoro e possono raggiungere i 3 dollari solo lavorando 10 e più. È gente che, quando avrà 30 anni, ne dimostrerà 50. Il vitto è pessimo e poco nutriente. Ci sono stati dei miglioramenti rispetto ai carichi di lavoro, ma è un’inezia rispetto alle condizioni generali. Tutti lo sanno, ma nessuno si muove.
Come arrivaste a capire che la causa delle tante malattie di cui soffriva la popolazione delle bananeras era il Nemagón?
Nel 1990, una volta caduto il governo sandinista, andai in Guatemala ad un convegno ecologico. In quel tempo lavoravo ancora con la Central Sandinista de los Trabajadores (CST) e con la Asociación de Trabajadores del Campo (ATC) – la prima è la centrale sindacale; la seconda è il sindacato dei braccianti; entrambe di tendenza sandinista, ndr – e quindi riportai tutto quello che avevo visto e sentito. Là, mi resi conto che in altri paesi, come Costarica, Honduras, Guatemala, si stavano facendo inchieste e ricerche sulle cause che stavano facendo ammalare e morire centinaia di persone che avevano lavorato nelle bananeras. Vidi che le malattie erano le stesse di cui soffrivano anche i miei compagni di lavoro. Scoprii, inoltre, che i prodotti Nemagón e Fumazone, entrambi a base di DBCP (dibromo-3-cloropropano), erano stati vietati negli USA già negli anni ‘70 ma che le imprese che li producevano, che lo impiegavano e che lo commercializzavano, lo avevano usato in Centroamerica nonostante, negli USA, alcune persone avessero già vinto cause per i danni ricevuti dal contatto con questi prodotti, ottenendo indennizzi di 1-2 milioni di dollari.
Immediatamente, ci mettemmo al lavoro per poter far causa alle ditte produttrici di Nemagón, come la Shell Oil Company, la Dow Chemical e la Occidental Chemical Inc., ed alle imprese che lo avevano usato come la Standard Fruit.
Nel 1990, si aprì il processo negli USA e portammo tutti gli esami fatti ai lavoratori ed alle lavoratrici. C’erano buonissime possibilità di vittoria ma, purtroppo, i nostri stessi compagni dirigenti sindacali, con il beneplacito del governo e degli avvocati, giunsero ad un accordo extra-giudiziario con le compagnie produttrici, ricevendo 28 milioni di dollari in cambio di una firma su un documento che declinava qualsiasi responsabilità delle imprese per i danni subiti dai lavoratori a seguito del contatto con i pesticidi, a base di DBCP.
A questo accordo parteciparono soltanto 812 degli oltre duemila lavoratori che avevano fatto causa. Gli altri, rendendosi conto dello sporco gioco che si stava consumando alle loro spalle, rifiutarono l’offerta.
Degli 812 lavoratori, l’85% ricevette 100 dollari di indennizzo; 36 persone più di 500 dollari; 16 tra 1.000 e 1.500 dollari e solo 5 o 6 ebbero in cambio fra 2.000 a 3.000 dollari. Ciò, in ragione delle conoscenze e del legame che avevano con il sindacato. Il resto dei milioni, ancora oggi, non si sa che fine abbiano fatto. Dopo il 1992, con la fine del tentato processo, si persero tutte le informazioni e, quindi, con il resto dei lavoratori colpiti dal pesticida decidemmo di fondare una nuova associazione, la ASOTRAEXDAN (Asociación de Trabajadores y Ex Trabajadores Afectados por el Nemagón), del tutto separata dai partiti e da sindacati come la ATC e la CST.
Quali sono le malattie più gravi che hanno colpito i lavoratori e le lavoratrici delle bananeras e quali danni esse comportano?
I danni sono tanti ed enormi: già si contano 110 morti e molti altri lavoratori stanno solo aspettando la fine, dal momento che i medici hanno diagnosticato che per essi non c’è cura. Stiamo parlando di tumori ai reni, al pancreas, alla milza; cecità precoce in persone di 40 anni che non vedono quasi più nulla; fragilità ossea; aumento esagerato della temperatura corporea; atrofia dei testicoli; ematomi, eruzioni cutanee e deformazioni in tutto il corpo; perdita di peso; caduta della pelle, dei capelli e delle unghie; alterazioni nervose; sterilità totale o parziale e danni degli spermatozoi, il che sta provocando la nascita di bimbi deformi.
Sappiamo che il Nemagón resta attivo nel sottosuolo per almeno 120 anni. In tutti questi anni, nei 7 municipi dove c’erano le piantagioni di banane, sono passati tra gli 8.400 ed gli 8.600 lavoratori di cui 2.500 donne. Ma, il problema, è più ampio. Il Nemagón, come abbiamo ricordato, veniva irrorato di notte ed i primi lavoratori arrivavano alle 4 di mattina; qui, erano raggiunti dalle mogli che portavano loro il pranzo; persino i bambini venivano a giocare, mentre le famiglie di lavoratori o custodi vivevano all’interno delle bananeras. Su tutte queste persone cadevano le goccioline condensate del pesticida o, comunque, in qualche modo venivano a contatto con il prodotto, comprese le donne che lavoravano nel preparare le casse di banane. Si può, quindi, dire che il problema tocca l’intera comunità e tutte quelle famiglie che, ad esempio, attingono l’acqua dai pozzi, acqua contaminata dal Nemagón.
Stiamo parlando di almeno 20 mila persone che dovrebbero sottoporsi a esami medici appprofonditi. Si calcola che, in ogni famiglia composta in media da sei persone, almeno quattro di esse sono colpite da malattie derivanti dal contatto con il Nemagón.
Nessuna struttura pubblica dipendente dal ministero della Sanità (MINSA) ci ha voluto aiutare facendo gli esami diagnostici alle persone che accompagnavamo in clinica. Il personale ha paura delle ritorsioni del ministero e di essere licenziato. I medici ci dicono le cose di nascosto, ma non sono disponibili a scriverle ufficialmente. Siamo stati costretti a recarci presso laboratori privati che sono carissimi. Un esame completo per una donna costa più di 100 dollari e restano ancora da far visitare 1.800 uomini e 1.000 donne, per poter intentare il processo contro le multinazionali. La maggior parte di queste persone non ha molte speranze di vita e sta già vivendo una situazione di morte sociale perché nessuno dà loro lavoro quando si presentano senza capelli, senza unghie, senza pelle, o perché non ce la fanno più e si stancano subito. Per questo, abbiamo dato vita anche alla fondazione FUNPPANFBAN.
Quali sono gli obiettivi di questa fondazione?
La ASOTRAEXDAN, di cui sono presidente, è un’associazione nata prevalentemente per la lotta dei lavoratori delle bananeras e per ottenere l’approvazione di una legge specifica per i colpiti dall’uso del Nemagón, cosa che ci permetterà, ora, di fare causa alle multinazionali. In quanto associazione sperimentiamo, però, dei limiti quanto ai rapporti con altre associazioni estere che vogliono aiutare, anche economicamente, la nostra lotta. Pertanto, abbiamo dato vita a questa fondazione che ha obiettivi prevalentemente incentrati nell’aiuto concreto alle persone che non sono più in grado di autosostenersi, perché malate e con un futuro del tutto incerto.
Tra i vari obiettivi abbiamo quelli di un progetto di salute integrale, che comprenda una terapia psicologica riabilitativa e ricreativa per le persone colpite dalle malattie; la creazione di posti di lavoro attraverso piccoli progetti produttivi; un progetto di ricerca medica con la creazione di un nostro laboratorio in modo da non dover dipendere dal MINSA. Tutti i progetti produttivi saranno a livello municipale e a conduzione collettiva. Esiste, poi, il problema della terra su cui sviluppare tali progetti. Una volta iscritti regolarmente al ministero di Gobernación (Interni, ndr), per evitare quello che sta succedendo alle altre fondazioni che, non essendosi iscritte, ora rischiano la chiusura in quanto “scomode” per il governo, l’idea è quella di chiedere le terre al governo stesso. Altrimenti, dovremo chiedere ai privati i finanziamenti per l’acquisto.
Una cosa è certa: qualsiasi tipo di progetto produttivo dovrà essere avviato senza l’uso di prodotti chimici. Cercheremo di lavorare con prodotti organici, ma di agro-chimici non ne vogliamo più sentir parlare. Sarà più difficile e lungo, ma per noi è fondamentale dopo tutto quello che abbiamo passato.
A che punto è la legge che inquadra e regola la questione del Nemagón?
La legge è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale il 17 gennaio 2001, dopo un’attesa di più di due mesi, in cui il presidente (di allora, ndr) Alemán l’aveva messa nel cassetto e sembrava non volesse firmarla. È stato un parto difficilissimo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Ci abbiamo messo più di due anni, contando solo sulle nostre forze e gli aiuti economici di amici. Ci siamo scontrati con le resistenze del governo, dei sindacati e dei partiti perché eravamo troppo scomodi dopo aver denunciato la vergogna del processo dei 28 milioni di dollari di cui ho già parlato. Il caso, però, era troppo grosso ed abbiamo fatto una grande propaganda, nel Paese e fuori, sui disastri provocati dal Nemagón e, alla fine, le commissioni Lavoro e Diritti Umani del parlamento hanno spinto affinché la Legge 364 venisse approvata.
Nell’ottobre scorso, siamo rimasti per tre settimane accampati davanti all’Assamblea Nazionale – il parlamento monocamerale, ndr – fino all’approvazione della legge. In molti ci hanno aiutato con viveri, coperte, tende e sono stati tantissimi quelli che venivano a trovarci anche solo per dare la loro solidarietà. Abbiamo persino minacciato di sfilare nudi per le vie della città, mettendo in mostra i danni che il Nemagón ha provocato ai nostri corpi, ma per fortuna non ce n’è stato bisogno. Voglio sottolineare ancora la totale solitudine in cui ci hanno lasciato le istituzioni: quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto da soli, altrimenti saremmo ancora qui a leccarci le ferite.
Quali sono i contenuti della Legge 364?
È una legge molto importante, in quanto è l’unica nel continente latinoamericano ad affrontare direttamente la problematica del Nemagón e di tutti i prodotti a base di DBCP.
In sintesi, la legge prevede che dalla data di notifica della denuncia alle multinazionali, che per ora sono la Dow Chemical, la Occidental Chemical Corp., la Shell Oil Company, come compagnie produttrici, e la Standard Fruit Company, la Standard Fruit and Steamship, la Dole Fruit Company e la Chiquita Brand Inc., come aziende che l’hanno usato, tutte queste avranno 90 giorni per depositare 100 mila dollari come garanzia per gli eventuali indennizzi ai lavoratori e coprire parte delle spese processuali. In caso di mancato versamento il processo verrà spostato negli Stati Uniti per eseguire la sentenza che non potrà che essere di colpevolezza, in quanto non avranno rispettato i termini di legge e dovranno rinunciare al “foro non conveniente”.
Questa formula del “foro non conveniente” era stata applicata dalla Corte di Giustizia USA su richiesta delle multinazionali, che, basandosi sul fatto che i denuncianti non sono cittadini statunitensi e, quindi, non possono avvalersi delle leggi e rifarsi su compagnie USA, avevano chiesto che tutte le cause venissero spostate nei paesi di origine dei denuncianti contando sul fatto che, lì, non esistevano leggi apposite.
La legge, inoltre, prevede che le compagnie dovranno, sempre entro i primi 90 giorni, depositare 300 milioni di dollari, in una banca da loro scelta, come anticipo degli eventuali indennizzi che dovranno versare ai lavoratori.
Vengono anche previste due cose molto importanti: la prima, che i lavoratori, per dimostrare la loro malattia derivante dal contatto con il Nemagón, dovranno presentare due certificati medici emessi da cliniche riconosciute dal MINSA; la seconda, che si prevedono indennizzi di 100 mila dollari per chi soffre di sterilità totale, 50 mila dollari per chi soffre di sterilità parziale e 25 mila dollari per altri tipi di malattia; chiaramente, chi è colpito da più effetti del Nemagón potrà cumulare i vari indennizzi. Sappiamo che non è molto rispetto agli indennizzi miliardari che alcuni cittadini statunitensi hanno ricevuto per casi come i nostri, ma siamo in Nicaragua e questo è già un passo molto importante.
Come si stanno muovendo le multinazionali per difendere i propri interessi e la propria immagine? Avete già avuto modo di capire quali saranno le loro mosse dopo l’approvazione di questa legge ?
Loro stanno cercando di vanificare la nostra lotta in due modi .
In primo luogo, cercando di comprarci: a me hanno offerto 20 mila dollari affinché mi astenessi dalla lotta; ad altri hanno offerto mille o 5 mila dollari. Non abbiamo accettato e abbiamo risposto loro che noi non cerchiamo i soldi, ma che vogliamo dare un esempio che possa servire anche per il resto dei Paesi in cui sono avvenute le stesse cose. Abbiamo voluto dimostrare che in Nicaragua esiste ancora gente che crede nella classe lavoratrice e nei suoi diritti.
In secondo luogo, tentando di far credere al Paese che, a conseguenza di questa causa miliardaria aperta, il mercato delle banane sarebbe crollato, mandando a spasso migliaia di lavoratori. Sappiamo che è falso e, anzi, le notizie che abbiamo è che il mercato è in espansione.
Esiste, tuttavia, un’altra formula piuttosto ambigua, che è stata inserita nella legge e che potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. L’articolo 13 dice, infatti, che per quei lavoratori denuncianti che non hanno i soldi per avviare il processo, lo Stato è obbligato a fornire i mezzi e l’assistenza tecnica e finanziaria necessaria. In breve, nel momento in cui lo Stato paga il processo potrebbe, poi, farsi passare come beneficiario degli indennizzi; proprio per questo stiamo cercando il più ampio sostegno per evitare di incorrere in questo rischio.
Parlavi di un processo in corso. Con l’approvazione della Legge 364 aprirete un’altra causa o continuerete con quella già in corso, ampliando il ventaglio delle imprese denunciate?
Sono due possibilità che stiamo studiando attentamente perché non vogliamo lasciare la pur minima possibilità di scappatoia alle imprese. Non abbiamo ancora deciso e i nostri avvocati le stanno studiando a fondo tutt’e due. La causa già aperta, per 10 milioni di dollari, risale al 1998 quando denunciammo la Dole e la Standard Fruit Company per tutto quello che avevano fatto, negli anni, ai lavoratori. Con una sentenza di una giudice e la collaborazione di due ottimi avvocati, riuscimmo a far porre sotto sequestro giudiziario preventivo 54 camion, del valore di 40 mila dollari ciascuno, carichi di banane, che erano già pronti a varcare la frontiera honduregna, nonché a bloccare, con più di 2 mila lavoratori, le uscite delle varie piantagioni dove si produce il banano. Il blocco durò per alcune settimane e le compagnie gridarono allo scandalo. Venimmo anche denunciati dalle compagnie stesse, ma il loro obiettivo era solo quello di arrivare ad un accordo extra-giudiziario, cosa che non accettammo, arrivando fino in fondo al processo. La Corte Suprema di Giustizia ci diede ragione, fummo scagionati e, ora, siamo totalmente liberi.
Come si risolse la protesta del 1998?
Alla fine decidemmo di togliere i blocchi perché avevamo già raggiunto il nostro obiettivo che era quello di denunciare quanto stava succedendo e l’abbandono in cui, tutte le istituzioni, i partiti ed i sindacati, ci avevano lasciato. Sapevamo, inoltre, che il governo avrebbe fatto intervenire la polizia antisommossa cosa che, puntualmente, si verificò il giorno stesso in cui togliemmo i picchetti. Non serviva più continuare perché, dopo lo scandalo, avevamo il compito di cominciare a lavorare seriamente per l’approvazione della legge, concentrando su questo obiettivo i nostri sforzi. Per quel che riguarda i camion, il governo esercitò pressioni sul responsabile della dogana affinché li facesse passare di nascosto. Restano, comunque, sotto sequestro e se dovessero tornare glieli riprendiamo nuovamente. La denuncia è ancora aperta e vedremo se estenderla ad altre compagnie che producono e usano il Nemagón che, in tutto, dovrebbero essere una ventina, o se aprire un nuovo processo.
Come fondazione ed associazione state lavorando anche con i nuovi lavoratori?
Attualmente, non rientra nei nostri piani perché siamo concentrati sulla legge e sulla denuncia che dovrebbe, una volta per tutte, rendere giustizia, almeno economicamente, alle migliaia di lavoratori e lavoratrici che hanno subito i danni dell’uso del Nemagón, ma abbiamo già in cantiere la formazione di due sindacati municipali che si battano per la difesa dei diritti dei nuovi lavoratori che sono tuttora violati.
Esiste a livello centroamericano un coordinamento dei comitati che stanno lavorando sulla situazione delle bananeras?
Ci stiamo interessando a questo. Partiamo da tre presupposti: il problema è uguale in tutta l’America Latina e ha causato gli stessi danni alla gente. Il fatto è che, in molti paesi, si è data poca pubblicità alle condizioni di chi ha lavorato o lavora nelle bananeras. In Centroamerica, ad esempio, si è lavorato molto in Honduras e Guatemala, ma poco in Costarica. Tutti i paesi, a parte il Nicaragua, mancano di una legge specifica. L’idea è di fare una riunione per definire una strategia comune, partendo dalla nostra legge come utile precedente per esercitare pressioni sui governi degli altri Paesi. Attualmente, abbiamo una strategia generale, ma mancano i finanziamenti e dovremo fare di tutto per trovarli. C’è anche l’ipotesi di presentare la “nostra” legge al Parlamento Centroamericano affinché l’approvi ed entri in vigore in tutta la regione.
Chi vi ha sostenuto fino a questo momento?
Abbiamo informato tutte le agenzie e istituzioni, ma le risposte sono state poche. Il Centro Nicaraguense per i diritti Umani (CENIDH) si è molto interessato e ci ha appoggiato in molte delle nostre iniziative di denuncia; la Procura per i Diritti Umani ha collaborato , ma non ha emesso alcuna risoluzione. In parlamento solo le commissioni Lavoro e Diritti Umani ci hanno aiutato, ma perché coinvolte direttamente nella elaborazione della legge. In definitiva, il maggior aiuto è venuto da persone singole: amici e compagni che ci hanno dato quel poco che avevano, ma che è stato fondamentale per arrivare fino a dove siamo oggi.
Dalli al nematodo!
Ma, a cosa “serve” il DBCP? Il pesticida è destinato a combattere dei microscopici vermi, detti nematodi, che pare vadano ghiotti della pianta di banano. Di conseguenza, il banano cresce più in fretta e anche la sua frutta aumenta di dimensioni.
Di chi è la colpa?
Le multinazionali sotto accusa in Nicaragua sono: Dow Agro Sciences, Aka Del Monte Fruits, Del Monte Tropical Fruit Company, Shell Oil Company, Occidental Chemical Corporation, Standard Fruit Company, Dole Food Corporation Inc., Chiquita Brands International e Del Monte Foods.
Tanti sinonimi, lo stesso veleno
La Dow Chemical lo produceva con il nome di Fumazone; la Shell Oil, con quello di Nemagon; la Occidental Chemical con quello di Anvac. Ma il DBCP ha numerosi altri sinonimi. Eccone una lista (e chissà che sia completa...):
- Dibromochloropropane
- 1,2-dibromo-3-chloropropane
- 1-Chloro-2,3-Dibromopropane
- 1,2-Dibrom-3-Chlor-Propan [tedesco]
- 1,2-Dibromo-3-Chloropropane [inglese]
- 1,2-Dibromo-3-Cloro-Propano [italiano]
- 1,2-Dibroom-3-Chloorpropaan [olandese]
- 3-Chloro-1,2-Dibromopropane
- Propane, 1-Chloro-2,3-Dibromo-
- Propane, 1,2-dibromo-3-chloro-
- AI3-18445
- BBC 12
- Caswell No. 287
- CCRIS 215
- DBCP
- Dibromchlorpropan [German]
- Dibromochloropropane
- EPA Pesticide Chemical Code 011301
- Fumagon
- Fumazone
- Fumazone 86E
- HSDB 1629
- NCI-C00500
- Nemabrom
- Nemafume
- Nemagon
- Nemagon soil fumigant
- Nemagon 20
- Nemagon 20G
- Nemagon 206
- Nemagon 90
- Nemanax
- Nemanex
- Nemapaz
- Nemaset
- Nematocide
- Nemazon
- OS 1897
- OXY DBCP
- RCRA waste number U066
- SD 1897
- 96-12-8
DBCP: breve, triste storia
A metà anni ‘70, i lavoratori della divisione prodotti agricoli della Occidental Chemical Company , in Lathrop, California, cominciarono a preoccuparsi del fatto che fossero diventati sterili. Nel 1977, la EPA (Environmental Protection Agency, cioè l’agenzia federale per la protezione ambientale) proibì negli Stati Uniti ogni alimento per la cui coltivazione fosse stato usato DBCP. I lavoratori della Occidental fecero causa alla compagnia, strappando un risarcimento medio di un milione di dollari per querelante.
Ciò provocò l’immediata proibizione del suo utilizzo in California, divieto che venne esteso due anni dopo a tutti gli Stati Uniti. Tuttavia, non venne proibita la esportazione in altri paesi, al fine di esaurire le ingenti scorte giacenti nei magazzini delle multinazionali, che altrimenti avrebbero perso milioni di dollari in caso di una sua totale messa al bando.
Così, il prodotto continuò ad essere impiegato in piantagioni di banane di America Latina, Asia e Africa. Senza molte precauzioni, purtroppo, peraltro giudicate scomode persino da coloro che avrebbero dovuto esigerne lo stretto rispetto: né guanti, né tute di protezione, né alcuna mascherina per evitarne l’inalazione.
Così, la regione di Chinandega, in Nicaragua, dove tuttora si concentrano le più grandi piantagioni di banane, su terreni affittati dai piccoli proprietari terrieri locali alle compagnie Dole, Chiquita e Standard Fruit, oltre ad un devastante carico di vittime umane - sono più di 8 mila i lavoratori che vi sono passati -, dovrà fare i conti anche con un inquinamento generalizzato e la contaminazione delle falde acquifere, cui attingono le popolazioni rurali della zona.
Nel 1979, su pressioni delle autorità costaricensi, la Dow e la Shell smisero di vendere DBCP alla Standard Fruit, una delle principali multinazionali delle banane operante in Costa Rica. Con ogni probabilità, le scorte presero allora la direzione dell’Honduras. Dove, al pari che altrove, i lavoratori delle piantagioni della Standard Fruit e della Tela Railroad Company, una sussidiaria della Chiquita, da anni lottano, fra minacce e attentati costati la vita ad alcuni dirigenti sindacali, per ottenere un’indennizzo per le malattie provocate dal DBCP.
Il 17 gennaio 2001, dopo mesi di attesa e più di due anni e mezzo di dure lotte dei lavoratori del settore, è stata promulgata la legge 364, il cui titolo esatto è: ”Legge speciale per promuovere processi richiesti dalle persone colpite dall’uso di pesticidi fabbricati a base di DBCP”.
Si tratta di un passo molto importante in quanto è l’unica legge specifica esistente in tutta l’America Latina, che pone le basi per costringere le multinazionali che hanno fabbricato, distribuito, usato e commercializzato il DBCP a pagare gli enormi danni provocati, durante tutti questi anni, ai lavoratori ed alle lavoratrici delle piantagioni di banane.
A seguito dell’approvazione di tale legge, il 28 febbraio 2001, le vittime del Nemagon, organizzate nella ASOTRAEXDAN (Asociación de Trabajadores y Ex trabajadores Afectados por el Nemagón) e rappresentate dallo studio legale Ojeda, Gutiérrez, Espinosa e Soci, hanno presentato davanti alla Terza Giurisdizione Civile del Distretto di Managua le prime denunce per danni e lesioni. I tre avvocati nicaraguesi che hanno intentato la causa contro sette multinazionali statunitensi sono appoggiati da Thomas Gerardi e Walter Lack, due avvocati statunitensi conosciuti quasi casualmente da Victorino Espinales Reyes, presidente di ASOTRAEXDAN, i quali hanno già vinto alcune cause per “danni di massa” contro potenti compagnie, obbligandole a indennizzare quanti avevano sporto denuncia nei loro confronti. Ad oggi le denunce giacenti sono 3600.
Gravi effetti nella salute umana
Sterilità
Indagini cliniche hanno verificato che il contatto per assorbimento od inalazione del DBCP produce sterilità - oltreché nelle cavie da laboratorio - anche negli uomini, riducendo progressivamente la produzione di sperma, fino ad azzerarla. Inoltre, si sono riscontrati anche casi di teratospermia, in cui il soggetto produce spermatozoi deformi. A ciò si aggiungono vari disturbi della personalità, fra cui l’impotenza e altre malattie psicosomatiche.
Cancro
Da studi realizzati in vari paesi si è giunti, inoltre, alla conclusione che tale pesticida può provocare cancro alla pelle, allo stomaco, ai reni, all'intestino ed ai testicoli, fra altri organi e parti del corpo umano.
Difetti della nascita
Molte donne gravide, venute a contatto con il prodotto, hanno abortito dopo poche settimane. Altre hanno sofferto di tumori, dolori alle ossa ed atrofia muscolare. Tra gli effetti più gravi vi sono anche malformazioni congenite nella prole dato che il DBCP provoca alterazioni nella riproduzione delle cellule.
Altre conseguenze
Sono stati individuati effetti degenerativi come la caduta dei denti, la perdita della vista e danni al sistema nervoso centrale. Si sono osservate vesciche ed irritazione alla pelle così come irritazione agli occhi, al naso ed alla gola. È accertato, inoltre, che l'esposizione prolungata al DBCP produca sintomi come eccessiva lacrimazione, nausea e giramenti di testa.
Negli altri esseri viventi
Dove veniva impiegato, il DBCP uccideva, inoltre, rane, uccelli e maiali e tutte le creature che bevevano l’acqua inquinata nelle piantagioni.
Danni all’ambiente
Oltre a causare gravi danni alla salute umana, il DBCP inquina l'aria che si respira, l'acqua che si beve ed il suolo, dato che è altamente persistente e può rimanere nella terra per molti anni. Nel caso del Nicaragua, se possibile, la realtà è ancor più tragica, dato che le bananeras si sono sviluppate su terreni già coltivati a cotone negli anni '40 e '50, che avevano cioè già ricevuto una forte dose di prodotti agrochimici. Di conseguenza, la contaminazione in quella regione ha caratteristiche di vera e propria emergenza ambientale, destinata a durare per decenni.
Corrispondenza
Questa è la nota che l’Associazione Italia-Nicaragua ha inviato ad una serie di aziende coinvolte nel processo in Nicaragua.
Refund Nicaraguan Workers!
In Nicaragua hundreds of workers of banana plantations, who were exposed to the poisons you force them to use, died; others are dying or suffering from sterility and other kinds of diseases which cause them continuous sufferings. In the United States of America, you, the multinationals directly responsible for this problem, have already plead guilty and have compensated the affected workers. In Nicaragua, on the contrary, you didn't even recognize the dreadful damages caused to the people and to the environment.
We, Italian citizens and consumers, in support to the legal action taken to you by ASOTRAEXDAN, an association of former workers of the banana plantations, denounce the violations of human rights, life and work that you caused.
E queste sono le risposte finora arrivate da alcune multinazionali:
From: Corporate Relations
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Sent: Monday, June 10, 2002 2:38 PM
Subject: Re: REFUND NICARAGUAN WORKERS
Thank you for contacting us about workers in Nicaragua and your concerns about the former practice of using a product known as DBCP. Although the company has been named as a defendant in the DBCP litigation filed in Nicaragua, the facts are that Chiquita has never operated farms or produced bananas in Nicaragua and has never purchased Nicaraguan bananas when DBCP was used there. Therefore, any linkage of Chiquita to DBCP use in Nicaragua is inaccurate and misplaced. We believe the lawsuits against us will be dismissed in due course.
Chiquita Brands International
Corporate Communications
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To: <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.%3E">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>;
Sent: Friday, June 07, 2002 7:49 PM
Subject: Ref Number: 0474517A
M/M Ain Milano
Dear M/M Milano:
Dole greatly appreciates the opportunity to address your concerns and to confirm its commitment to the environment and its employees. We can assure you that it is Dole's policy to comply with all applicable laws and regulations at all times wherever we operate and to take all practicable steps to promote health, safety and environmental protection.
While Dole cannot comment on ongoing litigation involving dibromochloropropane ("DBCP"), allegations similar to those presented in your correspondence have been denied in these lawsuits.
Independent third parties, whose responsibility it is to monitor the environmental and social programs of international companies such as Dole, have confirmed Dole's commitment to its employees and the environment. For instance, Dole was recently recognized by the Council on Economic Priorities ("CEP") which ranked Dole in the top ten of socially responsible companies. CEP is a leading public interest research organization on corporate social accountability. Dole's placement as one of the top ten of all the Fortune 500 companies reviewed by CEP is based on its performance in seven areas: Environment, Workplace Issues, Family Benefits, Disclosure, Charitable Giving, Women's Advancement and Minority Advancement.
Significantly, CEP ranked Dole the number one environmental performer of all companies in the food industry. In addition, on June 15, 2000, Dole was honored with the first-ever Ethical Workplace Award from Social Accountability International. Finally, Dole's operations have been certified as ISO 14001 compliant in ten countries in Latin America, Asia and Europe in which it does business, including Chile, Colombia, Costa Rica, Nicaragua, and Ecuador.
If you have further inquiries about the Dole Food Company, we invite you to visit our website at Dole.com. Thank you again for giving Dole the opportunity to set the record straight.
Sincerely,
Consumer Response Staff
Consumer Center
Dole Food Company, Inc.
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From: Tell-Shell, SI-PXX <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.%3E">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>;
To: 'AIN Milano' <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.%3E">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>;
Sent: Wednesday, June 12, 2002 1:05 PM
Subject: RE: REFUND NICARAGUAN WORKERS
Thank you for your email.
Shell Oil Company believes no Shell Oil DBCP product was used at any banana plantation in Nicaragua at any time. Based on currently known facts and our sales and shipment records, we know that Shell's DBCP product was not
shipped to Nicaragua. Shell Oil ceased production of DBCP in 1977 and all of the remaining inventory was sold to growers located only in the United States.
All toxicology test results pertaining to Shell Oil DBCP were submitted to the U.S. government by the registrants in order to obtain the registration for the DBCP label. Shell's DBCP labels met the U.S. government requirements pertaining to DBCP labeling. In the view of the US EPA, if the precautionary directions required by the US government and which appear on the product label were followed, no personal injury should result.
The Nicaraguan workers have brought their claims to the courts of Nicaragua. To the extent the courts of Nicaragua have jurisdiction, the courts will decide the rights of the workers and determine whether they are entitled to compensation, which Shell believes they are not.
In sostanza – traduciamo –, la Chiquita Brands asserisce che mai ha posseduto aziende in Nicaragua e mai ha prodotto o comprato banane in Nicaragua negli anni in cui il DBCP era usato.
Da parte sua, la Dole Food Company riafferma il suo impegno per l’ambiente ma preferisce non commentare la vicenda giudiziaria in corso.
La Shell Oil, infine, ritiene che nessun suo prodotto a base di DBCP sia stato usato in piantagioni nicaraguensi, dal momento che non c’è traccia di alcuna vendita, né di alcun carico spedito. In ogni caso, ricorda la Shell Oil, la produzione di questa sostanza chimica è stata interrotta nel 1977 e le scorte rimanenti sono state vendute a coltivatori negli Stati Uniti. Inoltre, continua la Shell Oil, le precauzioni da prendere erano scritte chiaramente e a norma di legge (statunitense) sulla confezione, e se rispettate, queste avrebbero potuto evitare problemi a chi ne avesse fatto uso. Anche per la Shell Oil, dunque, la causa in Nicaragua, come suol dirsi, non ha luogo a procedere...
Perché questa campagna di sensibilizzazione
«Siamo convinti che “un mondo diverso è possibile” e “un altro mondo è in costruzione” e per questo vogliamo contribuire a mettere le multinazionali di fronte alle loro responsabilità.
Oggi infatti sembra non solo possibile, ma anche realizzabile, costringere le multinazionali a rispettare almeno alcune regole di condotta. Vogliamo contribuire ad accendere i riflettori sui comportamenti delle multinazionali e riaffermare che il mondo non può essere governato dalle sole logiche del profitto».
La campagna si sviluppa su due filoni principali:
• La raccolta di fondi a favore dei lavoratori delle bananiere per sostenere le spese per le cure mediche immediate.
• L’invio di cartoline di pressione alle multinazionali responsabili della produzione del Nemagon a quelle che lo utilizzarono nelle piantagioni e a quelle che ne commercializzarono i prodotti, che sono le stesse contro cui i lavoratori riuniti nell’associazione ASOTRAEXDAN hanno intentato la causa.
Hanno aderito alla campagna: Coordinamento Lombardo Nord/Sud del Mondo, Rete Lilliput Nodo di Milano, Movimento Consumatori di Lecco, Cooperativa Nazca, Associazione di Amicizia e Solidarietà Italia-Cuba Milano.
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