«Abbiamo fatto germinare le nostre idee per imparare a sopravvivere in mezzo a tanta fame, per difenderci da tanto scandalo e dagli attacchi, per organizzarci in mezzo a tanta confusione, per rincuorarci nonostante la profonda tristezza.
E per sognare oltre tanta disperazione.»


Da un calendario inca degli inizi della Conquista dell'America.
  • slide01.jpg
  • slide02.jpg
  • slide03.jpg
  • slide04.jpg
  • slide05.jpg

NICARAGUA / Verso le elezioni di Novembre: tra Bush e Chávez

Alla mezzanotte dell’11 Maggio, quando i partiti e le alleanze si sono ufficialmente iscritti alle elezioni del prossimo 5 Novembre, il quadro elettorale era praticamente tracciato. Nonostante le pressioni, gli Stati Uniti non sono riusciti nel loro intento: la destra si presenterà divisa.  Da una parte, i liberali arnoldisti del PLC con i loro alleati e, dall’altra, i neoliberali dell’ALN, con i loro, si confronteranno con l’FSLN di Daniel Ortega, spalleggiato da Hugo Chávez, e con l’opzione di sinistra indipendente dell’Alleanza per il rinnovamento del sandinismo.

Analisi di Nitlapán-envío.
Ha collaborato alla traduzione Sara Menozzi.
Redazione di Marco Cantarelli.

L’ambasciatore Paul Trivelli si è profuso in una frenetica corsa per raggiungere l’unità della destra sotto la formula ideale per gli Stati Uniti: Montealegre candidato presidenziale, ma sulla macchina del PLC, sulla quale far salire anche le altre “forze democratiche” (si legga antisandiniste): i conservatori, gli ex contras della Resistencia, gli evangelici di Camino Cristiano e l’Alleanza per la Repubblica (APRE), promossa dal presidente Bolaños.
Ciò perché è chiaro agli Stati Uniti che Arnoldo Alemán mantiene il controllo del Partito Liberale Costituzionalista (PLC), sia perché ancora forte è la sua leadership tra i dirigenti e la base liberale, sia perché da abile politico sa manovrare i fili della corrotta politica nicaraguense, ed essendo chiaro, inoltre, che la macchina organizzativa del PLC dà più garanzie di sconfiggere elettoralmente Daniel Ortega, di quella rappresentata dal nuovo progetto liberale antiarnoldista di Eduardo Montealegre, candidato dell’Alianza Liberal (ALN).

Pressioni contro il tempo

Dopo aver lottato per molti mesi per far prevalere il progetto Montealegre su quello di Alemán, screditando quest’ultimo in pubblico, negando il visto per entrare negli Stati Uniti ai suoi familiari ed ai politici a lui più vicini, dopo innumerevoli dichiarazioni contro i caudillos obsoleti e i patti perversi, dopo aver finanziato gruppi civici che ripetessero questi messaggi, e consumata la nomina di José Rizo a candidato presidenziale del PLC, Trivelli ha tentato fino all’11 Maggio, data fatidica nel calendario elettorale, di persuadere Montealegre ad unirsi al PLC e premere su Alemán perché questi cedesse il potere all’interno del PLC e si ritirasse dalla politica, in cambio di un colpo di spugna sui processi per corruzione che lo vedono implicato, sia negli Stati Uniti che a Panamá.
Il 5 Aprile, Trivelli ha lanciato la sua proposta più sfacciata: organizzare delle primarie tra tutti i partiti di destra per scegliere il candidato unitario che potesse garantire la sconfitta di Ortega. Gli Stati Uniti avrebbero finanziato tali elezioni e inviato pure una squadra di tecnici per dirigerle. Luogo, partecipanti, numero di votanti, osservatori: tutte le condizioni erano descritte in tale proposta che, secondo Trivelli, rispondeva a richieste «formali, informali, pubbliche e private» di vari politici nicaraguensi.
Da parte sua, Montealegre ha accettato immediatamente. Sapendo di essere il favorito dagli Stati Uniti, era sicuro del risultato. Tuttavia, il PLC ha rifiutato la proposta. Ma gli sforzi sono continuati. La proposta statunitense ha suscitato giustificate voci di protesta contro l’ingerenza degli Stati Uniti nel processo elettorale. Il governo, però, l’ha giustificata affermando, per bocca del ministro degli Esteri Caldera, che dal momento che il Nicaragua riceve cooperazione internazionale per 500 milioni di dollari, i Paesi donatori «possono pronunciarsi» e «dire sotto quali condizioni la danno». Ciò che nessuna ha detto però è che l’Unione Europea è in testa alla cooperazione bilaterale, ma nessuno degli ambasciatori dei Paesi della UE fa, dice o propone ciò che propone, dice o fa l’ambasciatore degli Stati Uniti, Paese che non occupa il secondo, né il terzo, né il quarto posto tra quanti cooperano con il Nicaragua.

La destra non si unisce

Il 17 Aprile, allo scadere dell’ultimatum per rendere effettiva la sua proposta, Trivelli si è incontrato, per la prima volta pubblicamente e con tanto di fotografie, con il vertice del PLC e con lo stesso Arnoldo Alemán e sua moglie. Il PLC ha ribadito a Trivelli che la candidatura di Rizo non era in discussione, né negoziabile. Il giorno seguente, Trivelli si è, quindi, incontrato con Montealegre, esprimendogli implicitamente il suo appoggio, definendolo il «candidato antipatto».
Nei giorni precedenti l’11 Maggio, quindi, sono continuate le pressioni e le negoziazioni. Montealegre non ha ceduto: si è mostrato indisponibile a rinunciare alla candidatura presidenziale e al controllo delle liste dei deputati di una eventuale alleanza ALN-PLC. Nemmeno Alemán ha ceduto: aspirando alla sua libertà, punta a mantenere il controllo su un buon numero di deputati e, tramite loro, sull’Assemblea Nazionale. Montealegre è convinto – così dicono gli Stati Uniti e i sondaggi – di diventare il prossimo presidente del Nicaragua. Alemán spera, invece, di continuare a controllare il PLC, per aspirare alla presidenza nelle elezioni del 2011, convinto anche lui di poter tornare al governo.

Gli Stati Uniti polarizzano

Oltre ad aver fallito nel loro tentativo di unificare la destra, le dichiarazioni e le pressioni di Trivelli polarizzano lo scenario elettorale nicaraguense. E, in Nicaragua, la polarizzazione favorisce sempre l’FSLN controllato da Ortega e il PLC controllato da Alemán. Polarizzare l’elettorato costringendolo ad un bipartitismo legale ed emotivo è stato uno degli obiettivi iniziali del patto FSLN-PLC nel 1998. Tale obiettivo è immutato. Fino a quando riusciranno a mantenere l’elettorato intrappolato emotivamente nella rivalità sandinismo-antisandinismo, i due capi del patto si intenderanno tra loro, faranno affari insieme e si divideranno gli incarichi nelle istituzioni.
Le dichiarazioni di Trivelli avvicinano al polo di Ortega settori del sandinismo, in nome dell’antimperialismo e della difesa retorica della sovranità. D’altro canto, avvicinano al polo di Alemán settori del liberalismo, in nome di una lealtà al leader, offeso e oltraggiato da stranieri superbi.

Un nazionalismo emotivo

In questo modo, si infondono uno spirito nazionalista ed una difesa superficiale ed emotiva della sovranità, che non aiutano a pensare, per esempio, che non possiamo essere sovrani se la costa caraibica sta come sta, e che non lo saremo se il fiume San Juan (a Sud-Est, ndr) “è nostro” ma il fiume Coco (a Nord-Est, ndr) non lo è, perché è dei topi, delle alluvioni e dell’abbandono. Un nazionalismo che non porta a riflettere sul fatto che non siamo ancora una nazione se, per esempio, nello stesso territorio abitano 500 mila persone che vivono bene e quasi 5 milioni cui manca il minimo.
Essere sovrani implica avere un territorio comune condiviso e ben collegato. Essere una nazione significa che chi condivide un territorio nazionale deve condividere anche aspirazioni e sentimenti, un’interpretazione comune della nostra stessa storia, e un minimo consenso sociale che fa funzionare lo Stato e la società, orientandoli verso una equità di base. Niente di questo c’è nel Nicaragua di oggi. C’è mai stato?
Alemán ha diviso la destra in tutti questi anni. E Trivelli non è riuscito ad unificarla, almeno in questo primo round. Da quando Alemán è finito agli arresti, questa divisione è il tassello cruciale della strategia elettorale di Daniel Ortega, quello che può garantirgli una vittoria elettorale al primo turno nelle elezioni di Novembre. È, infatti, opinione generale che in una elezione come quella che si è delineata all’indomani dell’11 Maggio, con quattro opzioni – Rizo, Ortega, Lewites (ancora in vita, al momento di scrivere questo articolo, ndr), Montealegre –, Daniel Ortega potrebbe vincere solo al primo turno, ma non al secondo.

Chávez entra per la porta grande

Ma, siccome la destra divisa non è una garanzia sufficiente per Ortega, per bilanciare l’ingerenza statunitense l’FSLN ha trovato un contrappeso nel sostegno del presidente venezuelano Hugo Chávez. Il quale ha fatto il suo ingresso nello scenario elettorale nicaraguense dalla porta principale. Qualche mese fa, infatti, egli ha donato tutto il materiale necessario per iniziare, nei municipi amministrati dal- l’FSLN, la campagna di alfabetizzazione Yo sí puedo (Io sì che posso, ndr), che applica la metodologia cubana. Chávez ha incluso i nicaraguensi nel suo progetto Operación Milagro (Operazione Miracolo, ndr), che libererà dalla cecità reversibile tre milioni di latinoamericani poveri nei prossimi anni. In Aprile, 75 nicas avevano già riacquistato la vista grazie ad interventi chirurgici gratuiti realizzati in Venezuela. A fine 2006, i nicaraguensi beneficiati saranno un migliaio. Chávez ha inviato in Nicaragua 10 mila tonnellate di urea per concime, che verrà venduta a prezzi molto bassi a piccoli produttori e cooperative attraverso un’impresa sandinista. Con le 153 amministrazioni del Nicaragua – 86, più Managua in mano all’FSLN – Chávez ha creato un’impresa per vendere a prezzi assai favorevoli 10 milioni di barili di petrolio all’anno, quantità che il nostro Paese consuma in un anno e che il Venezuela produce in due giorni e dodici ore.
Il “pacchetto di aiuti” di Chávez risponde a delle necessità molto concrete. È attraente. E la controparte di tale pacchetto sono l’FSLN e Daniel Ortega. Avrebbe potuto esserlo il governo? Le magnifiche relazioni di Bolaños con il governo degli Stati Uniti non glielo avrebbero permesso. Né era nelle intenzioni di Chávez.

“Daniel, voglio che vinca tu!”

Hugo Chávez è un caudillo taglia extra-large per la sua personalità travolgente e per il fatto che governa un Paese seduto sopra la più grande riserva petrolifera del mondo. Chávez è un potere che oggi sfida gli Stati Uniti, usando parole sempre provocatrici, a volte improprie, a volte giuste. Li sfida con il petrolio e con iniziative in cerca della sognata e necessaria integrazione latinoamericana.
Il 23 Aprile, a Caracas, con Daniel Ortega di fronte, Chávez ha reso esplicito chi sia il suo favorito nelle elezioni nicaraguensi: «Daniel, non dirò che voglio che vinca tu, perché direbbero che mi sto ingerendo negli affari interni del Nicaragua, ma voglio che vinca tu». Ed ha aggiunto anche ragioni strategiche: «Il Nicaragua è molto importante: la sua proiezione verso il Pacifico e verso i Caraibi, le sue dimensioni, la sua capacità di impatto in Centroamerica, la sua storia, Sandino, la sua ideologia. Ci dobbiamo preparare perché il Nicaragua è parte dell’avanzata dell’ALBA», cioè l’Alternativa Bolivariana delle Americhe, lanciata da Chávez in contrasto con la proposta degli Stati Uniti dell’ALCA, l’Area di Libero Commercio delle Americhe.
Il 25 Aprile, durante una cerimonia solenne nel Palazzo di Miraflores a Caracas, trasmessa da vari canali della televisione nicaraguense, l’impresa petrolifera venezuelana PDVSA e l’Associazione dei Municipi del Nicaragua (AMUNIC), rappresentata da 53 sindaci sandinisti e da una dozzina del PLC, hanno firmato in presenza di Chávez e Ortega un accordo che crea l’impresa ALBANIC per la vendita del petrolio venezuelano in Nicaragua.
Giorni dopo, a La Habana, Daniel Ortega ha annunciato che nel suo programma di governo si prevede l’adesione del Nicaragua all’ALBA. Quindi, dopo aver fatto ritorno in Nicaragua, ha dichiarato che dai ricavi per la vendita del greggio venezuelano verranno i capitali per creare una banca che darà crediti ai piccoli produttori.

Chi conterà di più?

Non ci sono dubbi sul fatto che Chávez voglia influire sull’immaginario dell’elettorato nicaraguense, proiettando con il petrolio, il concime, la chirurgia e tutto ciò che potrà venire, un futuro promettente, anche se Ortega dovesse avere problemi con gli Stati Uniti una volta arrivato alla presidenza. L’ambasciatore Trivelli cerca di fare il contrario, proiettando nell’immaginario dell’elettorato la crisi nella quale precipiterà il Nicaragua, se Ortega arriverà al governo, a causa del già approvato Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, o per i fondi del Conto del Millennio già promessi e fino alle rimesse delle decine di migliaia di nicaraguensi che lavorano e risiedono negli Stati Uniti, che potrebbero venire meno...
Il colpo ad effetto ottenuto dall’FSLN con il “pacchetto” venezuelano – specialmente con l’accordo sul petrolio, anche se non si concretizzerà a breve termine – riuscirà ad attrarre voti per l’FSLN, come si propongono Ortega e Chávez? Chi peserà di più? L’intervento statunitense, vista la comprovata e determinante influenza nella storia del Nicaragua, o questa nuova influenza venezuelana? Solo i prossimi mesi permetteranno di rispondere. Per adesso, ciò che è certo è che le elezioni nicaraguensi saranno molto influenzate da azioni, pressioni, opinioni e immagini di attori esterni.
L’intervento di Chávez polarizzerà lo scenario. E nella dinamica politica vigente, la polarizzazione favorisce entrambi i caudillos, non soltanto uno di essi. Ortega farà del rifiuto dell’ingerenza statunitense uno dei punti chiave della sua campagna elettorale. Analogamente faranno Montealegre e il PLC con il timore che suscita l’appoggio di Chávez. Entrambi si appelleranno al nazionalismo emotivo.

Poteri esterni e paure

C’è molto potere esterno nello scenario elettorale, che genera speranze da una parte e paure dall’altra. Speranze di petrolio che vengono da fuori, paure di rappresaglia che pure incombono da fuori.
C’è molto timore nello scenario elettorale. Timore del “bene da conoscere”, preferendo il “male conosciuto”. Paura di sbagliarsi di nuovo. Doña Violeta invita i nicaraguensi «a vincere le paure, a sconfiggerle», interpretando ciò che è accaduto nel 1990 quando lei vinse le elezioni. A quali timori si riferisce? Chi si deve temere di più in queste elezioni? L’inimicizia degli Stati Uniti verso Daniel Ortega e il potere che deriva da questa inimicizia, perché “qualcosa faranno al Nicaragua se vince Daniel”? Del resto, chi non teme oggi la sventatezza comprovata del governante che Trivelli rappresenta a Managua? O bisognerà temere di più il ritorno di Ortega, forte ora del combustibile elettorale di Chávez?
Montealegre sostiene che “la paura di Ortega” non è ragione sufficiente per salire sul carro del PLC. E sia Rizo che Montealegre cercano di indurre nell’elettorato la paura “per la minaccia regionale ed emisferica” che deriverebbe da una vittoria di Ortega e dall’asse Chávez-Castro-Ortega proiettato sul Mar dei Caraibi, mentre l’asse Chávez-Morales avanza a Sud.
Da parte loro, i municipi amministrati dall’FSLN stanno diventando macchine da intimidazione e ricatto contro l’opzione che raggruppatasi intorno alla figura dell’ex sindaco di Managua, il sandinista Herty Lewites.
L’Alleanza Herty 2006-MRS si presenta come l’unica opzione politica ed elettorale indipendente dal potere degli Stati Uniti. Trivelli nemmeno la menziona. L’unica libera dalla protezione di Chávez, che non ignora il tradimento di Ortega agli ideali di Sandino. E anche l’unica estranea al finanziamento del grande capitale nazionale e centroamericano, che a partire dall’11 Maggio, sfidando anche le pressioni degli Stati Uniti, dibatte se appoggiare Montealegre, il loro favorito, o Rizo, sebbene il timone del PLC sia controllato da Alemán.

Abitudini e abbagli

Nell’Odissea, Omero ricreò le paure di chi si avventurava nei mari sconosciuti, dando vita letteraria a due mostri marini, Scilla e Cariddi. Entrambi spaventavano i naviganti che si avvicinavano alle loro orripilanti fauci. Da allora, “stare tra Scilla e Cariddi” è sinonimo di “stare tra la spada e il muro”, intrappolati in una situazione difficile, rischiosa e pericolosa. Tra Trivelli e Chávez? L’influenza determinante che i poteri stranieri – in testa gli Stati Uniti – hanno avuto nella storia del Nicaragua, spiega la cultura politica che accetta, e persino sollecita, le pressioni di Trivelli-Bush per guadagnare grazie al potere esterno ciò che non si riesce ad ottenere con le proprie forze all’interno.
Questa influenza esterna permanente – oggi rappresentata anche dalla cooperazione internazionale nel suo insieme, per quanto possa essere generosa o dica di esserlo –, rappresenta anche la rassegnazione di fronte ai poteri esterni e l’abbaglio che producono nella popolazione iniziative e “pacchetti” come quello che offre Chávez.
Siamo troppo abituati dalla storia passata, da quella recente, dalla realtà attuale, per sentire e per credere che da soli non si può, che il potere per governare deve venire da fuori.

Rocce, non mostri

Tuttavia, quei due mostri raccapriccianti non sono altro che due scogli rocciosi nello stretto di Messina, che separa la punta dell’Italia dall’isola di Sicilia. Ostacoli naturali che si possono evitare, sempre che non li si immagini con varie teste, orrende bocche e ululati intimidatori. Vedendoli come sono nella realtà, pezzi di roccia affondati nel mare, e non ingigantendoli in mito e per paura, perdono la loro aura minacciosa. E possono essere superati.
Quando il Nicaragua si considererà per quello che è, capirà ciò che può diventare navigando nei mari globalizzati del mondo attuale; quando imparerà che il controllo della sua storia è nelle sue mani e non in quelle degli dei, della fortuna, degli imperi o dei poteri stranieri; quando la popolazione romperà con la cultura della rassegnazione e del fatalismo; quando navigando così, su questa rotta e appropriandoci del timone, apprenderemo cosa vuol dire cittadinanza, voteremo sovranamente senza paure. Sarà in questa occasione, sarà già così il prossimo 5 Novembre?

STATISTICHE

Oggi39
Ieri139
Questa settimana39
Questo mese4361
Totale7571337

Ci sono 17 utenti e 0 abbonati online

VERSAMENTI E DONAZIONI

Bastano pochi clicks, in totale sicurezza!

Importo: