EL SALVADOR / La questione indigena non è cosa del passato
Di Elaine Freedman, educatrice popolare, corrispondente da El Salvador.
Traduzione e redazione di Marco Cantarelli.
Il 22 Gennaio scorso, una commemorazione ha ricordato l'insurrezione e il massacro di indigeni e contadini, avvenuto nel 1932. Tre giorni dopo la cattura, fra gli altri, di Farabundo Martí, Alfonso Luna, Mario Zapata – dirigenti del movimento, ndr –, migliaia di salvadoregni, per lo più indigeni, armati di machetes e picconi, alcuni fucili Mauser e poche altre pistole, occuparono una dozzina di villaggi nell'Ovest del Paese: Izalco, Nahuizalco, Sonzacate, Salcoatitán e Juayúa, nel dipartimento di Sonsonate; Tacuba, nel dipartimento di Ahuachapán; Teotepeque, Colón, Armenia e Tepecoyo, in quello di La Libertad. Tentarono anche di prendere le caserme dei capoluoghi dipartimentali di Sonsonate, Ahuachapán e Santa Tecla, per la qual cosa bloccarono le vie di accesso e tagliarono le comunicazioni. Nei villaggi occupati, i ribelli insediarono come sindaci i candidati del Partito Comunista, che erano rimasti vittime di frodi elettorali o la cui elezione era stata annullata nelle elezioni svoltesi 19 giorni prima, il 3 Gennaio del '32. A Juayúa, Francisco Sánchez, leader dei ribelli, raccolse tutti gli atti di proprietà e preparò un piano per consegnare la terra agli indigeni.