NICARAGUA / Un governo che dà le spalle al futuro
Articolo originale della redazione di envío. Traduzione e redazione in italiano di Marco Cantarelli.
Ci furono anni – che appaiono, oggi, così lontani – in cui il Nicaragua era una sorta di Mecca cui era obbligatorio andare in pellegrinaggio per essere “qualcuno che avesse qualcosa da dire” sul mondo di allora, diviso fra Est e Ovest, nel quale il Nicaragua era diventato una roulette ideologico-politica su cui tutti scommettevano. Dopo aver sconfitto una delle dittature più antiche del continente, il progetto di trasformazione di un Paese così piccolo ed impoverito si trasformò nel sogno di una generazione in quasi tutto il pianeta. Il Nicaragua divenne un laboratorio cui contribuire, in cui tutto era da fare. E quello che si stava facendo in Nicaragua sedusse ed innamorò migliaia di persone. Ovunque arrivasse un nicaraguense in quegli anni '80 ciò che contava era che fosse tale, un nicaraguense, figlio o figlia, di un Paese che voleva rialzarsi. La proiezione internazionale del Nicaragua era inversamente proporzionale alla sua limitata storia.
In quegli anni, Daniel Ortega viaggiava per il mondo in rappresentanza di questo Paese e la sua presenza aveva un enorme peso. Era ascoltato e la sua parola contava. Per il fatto che proveniva dal Nicaragua. Per come era fatto il mondo di allora. Oggi, più di trent'anni dopo, il Nicaragua appare isolato in America Latina, in America Centrale, nel mondo. Forse, perché Ortega vive dando le spalle al mondo e continua a rappresentare i nicaraguensi, mentre il suo discorso e la sua figura risultano insopportabilmente lievi...
Al Vertice delle AmericheC'era il timore che al Vertice delle Americhe, svoltosi a Panamá in Aprile, Daniel Ortega ripetesse quanto aveva fatto e disfatto nel Gennaio scorso, in occasione della riunione della CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi), tenutasi a San José (di Costa Rica, ndr), in cui ha svergognato il Nicaragua davanti ai presidenti latinoamericani, causando la brusca chiusura della riunione.
Tutti sapevano che, dal momento in cui si fosse alzato il sipario del costoso e lucente teatro diplomatico panamegno, i grandi protagonisti sarebbero stati il presidente di Cuba, Raúl Castro, e quello degli Stati Uniti, Barack Obama. E così è stato. Obama ha dichiarato che Cuba «non è una minaccia» e Castro ha affermato che «Obama è un uomo onesto», e tutti i capi di Stato hanno applaudito.
Per non creare problemi a quell'atteso copione, Ortega ha evitato di parlare in modo roboante, come aveva fatto a San José. Tuttavia, si è presentato al Vertice con lo stesso entourage: i suoi figli e sua moglie, sicuramente accreditati, come in occasione della riunione della CELAC, come funzionari di governo i primi e come ministra degli Esteri “in funzione” la seconda, includendo nella delegazione due portoricani, uno dei quali – Rubén Berríos – per la prima volta.
In plenaria, Ortega ha nuovamente tuonato contro il colonialismo degli Stati Uniti a Puerto Rico. Non ha partecipato alla cena dei capi di Stato, delegando invece Berríos a sostituirlo. E nella riunione dei presidenti centroamericani con Obama, la sera precedente il Vertice, ha parlato ad Obama soprattutto dell'indipendenza di Puerto Rico, secondo quanto riferito dallo stesso Ortega giorni dopo, mostrandosi soddisfatto di essere riuscito a “guadagnare uno spazio” per una rivendicazione che è più che minoritaria nell'isola, dal momento che in nessuno dei quattro plebisciti fin qui tenuti l'opzione dell'indipendenza ha superato il 5,5% di appoggio popolare.
Alle spalle degli interessi nicaraguensiAl Vertice, Ortega ha, pure, annullato senza spiegazioni la riunione che in precedenza gli aveva chiesto il presidente della Camera di Commercio degli Stati Uniti, Thomas Donohue, un incontro praticamente concordato. Un'occasione mancata per l'importanza che continuano ad avere gli Stati Uniti per l'economia nicaraguense.
Infatti, le imprese statunitensi con maquiladoras in Nicaragua (per saperne di più sulle maquilas, leggi qui, ndr) sono ormai più di quelle asiatiche. Le maquilas sono stati gli unici investimenti che hanno dato una significativa risposta al principale problema del Paese: la disoccupazione. Anche se non sono posti di lavoro ben pagati e spesso si tratta di lavori stressanti che in cinque anni causano disabilità alle migliaia di donne che in esse trovano una via d'uscita alla loro condizione... questo è quello che il Nicaragua offre.
Nei primi due mesi di quest'anno, la fine dei privilegi tariffari (TPL), che il Nicaragua ha ottenuto per dieci anni e che il Congresso degli Stati Uniti non sembra disposto a rinnovare, ha già provocato il licenziamento di oltre 2 mila persone nelle maquilas tessili. Ed è possibile che i licenziamenti continuino. Non sarebbe stato utile per gli interessi del Nicaragua che di ciò Ortega avesse parlato personalmente con l'influente Donohue, per quasi venti anni a capo della potente Camera di Commercio? O, forse, ha perso la capacità negoziale al di fuori del contesto in cui “tratta” con l'imprenditoria nicaraguense, che mantiene “buona” concedendole il privilegio di essere esente dal pagamento di una giusta tassazione?
A differenza di altri Paesi latinoamericani che sono riusciti a diversificare le loro relazioni commerciali e rendersi, così, più indipendenti dagli Stati Uniti, e nonostante i legami con l'Alleanza Bolivariana per le Americhe (ALBA) e tutta la retorica in quel senso, gli Stati Uniti continuano ad essere il più importante partner commerciale del Nicaragua. Verso gli USA vanno i principali prodotti di esportazione del Nicaragua: zucchero, cacao, caffè, arachidi, tabacco, frutti di mare, pesce... Esportazioni dallo scarso valore aggiunto e che non sono cambiate molto da un secolo a questa parte... ma queste sono le esportazioni nicaraguensi.
Ora che l'economia americana è in ripresa, Juan Sebastián Chamorro, direttore del think tank FUNIDES (Fundación Nicaragüense para el Desarrollo Económico y Social) ha dichiarato: «Abbiamo scoperto che c'è un rapporto di quasi il 75% della nostra economia con quella degli Stati Uniti: di modo che se quest'ultimi crescono, il Nicaragua ha il 75% di possibilità di seguirne i passi. Questo perché quel Paese è il nostro principale partner commerciale».
Alle spalle dei migrantiMa non ci sono in ballo solo i rapporti commerciali. Oltre 200 mila nicaraguensi vivono e lavorano negli Stati Uniti. Daniel Ortega non ha approfittato del Vertice per parlare con qualche autorità statunitense della situazione dei suoi connazionali in quel Paese.
Sono ormai un milione i nicaraguensi sparsi nel mondo – in Costa Rica, Stati Uniti, Spagna, Panamá, soprattutto –, in maggioranza migranti economici non hanno trovato opportunità di lavoro nel loro Paese. Èscandaloso che essi mai figurino nell'agenda del governo nicaraguense. Nemmeno nei discorsi del presidente o di suoi funzionari. Assenti anche nei bilanci positivi che dell'economia fanno i grandi imprenditori. Mai sono nominati dalla Segreteria di Comunicazione e Cittadinanza (diretta da Rosario Murillo, moglie di Daniel Ortega, ndr) nelle sue lunghe e quotidiane allocuzioni radiofoniche, nelle quali trasmette sempre profonda preoccupazione per tutto ciò che affligge, interessa e inquieta le “care famiglie nicaraguensi”...
Decine di migliaia di nicaraguensi hanno lasciato il Paese per mancanza di lavoro da quando Ortega è tornato al governo. Nessuna assistenza è loro fornita durante il viaggio, nelle condizioni di illegalità in cui si trovano, quando cercano di ottenere la residenza o quando tornano indietro. Semplicemente, dimenticati. Per l'élite imprenditoriale l'unica cosa che conta sono le rimesse che essi mandano in Nicaragua. Quei soldi spiegano meglio di qualsiasi altro reddito cosa si sostenga economicamente, oggi, il Paese. Nel 2014 le rimesse hanno raggiunto gli 1,2 miliardi di euro. Nel 2000, erano solo 320 milioni. La migrazione è sempre più massiccia e i “pobredólares”(gioco di parole che indica i dollari dei poveri, ndr) delle rimesse rappresentano l'invisibile e non considerato motore economico dell'economia nicaraguense.
I nicaraguensi emigrati contribuiscono alla stabilità finanziaria e sociale, tanto che meriterebbero un trattamento migliore e, pure, una maggiore partecipazione politica. Questo mese, l'ex ministro degli Esteri Francisco Aguirre Sacasa è tornato a chiederlo: «È tempo che i nicaraguensi che vivono nella diaspora partecipino alle nostre elezioni. Questi connazionali sostengono le loro famiglie in Nicaragua con milioni di dollari, che non vanno solo a beneficio dei loro parenti, ma rafforzano la nostra economia. Si sono più che guadagnati il diritto di voto».
Tuttavia, il magistrato elettorale del partito di governo, José Luis Villavicencio, si è affrettato a negare questa possibilità, sostenendo che il Potere Elettorale non ha la capacità finanziaria per organizzare il voto dei nicaraguensi all'estero. E mai l'avrà, fino a quando Ortega penserà, non senza giustificato timore, che quei voti non favorirebbero di certo il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN). Così, è più semplice volgere loro le spalle...
“Il mondo deve sapere”Nell'irrilevanza che ha caratterizzato la partecipazione di Ortega al vertice, quel che colpisce, per omissione, è il suo silenzio sul canale interoceanico. Non una sola parola su come vada il megaprogetto Ortega ha pronunciato in plenaria ai suoi colleghi dell'ALBA e nemmeno nella riunione che Obama ha avuto con i capi di Stato centroamericani del SICA (Sistema di Integrazione Centroamericana). Ciò, nonostante il canale sia stato propagandato dal governo nicaraguense come un'opera di ingegneria che porterà «sviluppo e progresso alla popolazione per generazioni» – tema cui era dedicato il Vertice – e che sarà fatta «in conformità con gli impegni del Paese con ALBA e SICA» – i cui rappresentanti erano per l'appunto ivi riuniti –. Si tratta di una grande truffa?...
Dei rischi ambientali e sociali che il canale causerebbe hanno, invece, parlato i rappresentanti della società civile nicaraguense accorsi a Panamá. Lanciando lo slogan “Il mondo deve sapere cosa sta succedendo in Nicaragua”, hanno approfittato di tutti gli spazi di dibattito offerti dai tavoli tematici e sebbene non abbiano potuto parlare di tutto quel che accade, qualcosa di quasi tutto sono riusciti a dire...
Le delegazioni governative sono, al contrario, parse prive di argomenti e la loro partecipazione è stata mediocre come quella del loro presidente.
Russia: serie conseguenzeDaniel Ortega continua, invece, a dare priorità alle relazioni con la Russia. Se Vladimir Putin si è proposto che la Russia torni ad essere una potenza mondiale, sembra che Daniel Ortega si sia proposto di vedere nella Russia di oggi la potente Unione Sovietica di ieri.
Il 22 Aprile, il governo ha inviato all'Assemblea Nazionale (il parlamento monocamerale, ndr) un decreto relativo all'accordo con la Russia per «l'uso dello spazio ultraterrestre per scopi pacifici». Ciò si tradurrà nell'installazione di almeno 21 satelliti realizzati con la tecnologia russa GLONASS, concorrenti con la statunitense GPS, e, inoltre, stazioni di controllo e monitoraggio della navigazione satellitare nello spazio nicaraguense. Com'è ormai routine, il decreto aveva carattere d'urgenza ed è stato, quindi, approvato dalla maggioranza, appannaggio dell'FSLN, in soli quattro giorni.
Roberto Orozco, esperto in sicurezza e collaboratore di envío, ha espresso preoccupazione per la velocità con cui il Nicaragua sta firmando accordi di natura militare con la Russia. «È proprio per questa fretta – afferma – che dubito che questi satelliti siano solo per uso civile».
Secondo un'inchiesta pubblicata di recente da Confidencial(rivista nicaraguense, ndr), dal 2013 e ogni sei mesi, arrivano in Nicaragua 130 militari russi con diverse imbarcazioni per pattugliare le acque nazionali contro il narcotraffico e, due volte l'anno, il capo dell'antidroga russo visita il Nicaragua. A Managua è in funzione un centro di formazione alla lotta antidroga per poliziotti e militari di Centroamerica e Caraibi.
A questo riguardo, secondo Douglas Farah, consulente internazionale in materia di sicurezza: «La Russia non è il paese indicato per la lotta al traffico di cocaina, dal momento che non ha alcuna esperienza in questo tipo di lotta. La sua esperienza è in Afghanistan, dove ci sono le montagne e l'eroina... La Russia si fa portabandiera di una lotta tradizionalmente condotta dagli Stati Uniti per decenni, in un luogo di influenza degli Stati Uniti. Si tratta di una manovra importante per la Russia, che gli Stati Uniti devono considerare seriamente...».
Risponde agli interessi del Nicaragua l'avvicinamento alla Russia di Putin? Secondo Elvira Cuadra, esperta nicareaguense di sicurezza: «Il Nicaragua ha poco da guadagnare da ciò, giacché si trasforma in terreno di disputa globale, con conseguenze che finiremo per pagare. Mentre la Russia ha molto da guadagnare perché, oltre ad occupare il nostro territorio, ottiene una carta negoziale nei confronti con il suo avversario globale».
Alle spalle della leggeVoltando le spalle agli interessi del Nicaragua nel mondo che cambia, Daniel Ortega governa anche in barba alla legge.
La demolizione, avvenuta il 3 Aprile scorso, dell'albergo costruito dall'imprenditore Milton Arcia nell'isola di Ometepe (nel Grande Lago di Nicaragua, il Cocibolca, ndr) e la violenza con cui è stato trattato mentre opponeva resistenza, è solo uno degli ultimi e più eclatanti esempi. Dell'albergo, già in fase di avanzata costruzione, non è rimasta pietra su pietra. E ai ricorsi legali presentati da Arcia, l'unica risposta è stata la pubblicazione, il 9 Aprile, di un accordo amministrativo pre-datato – in data 27 Marzo –, in cui la Procura stabilisce che il terreno su cui stava sorgendo l'hotel doveva essere espropriato in quanto di “pubblica utilità”.
Èdiventata pratica abituale del governo disconoscere le leggi ogni volta che esse siano in contraddizione con gli interessi politici del governante. Quando succede, tutte le istituzioni statali agiscono illegalmente, salvo poi intervenire, qualcuna di esse, per mascherare l'illegalità con qualche dichiarazione, decreto, accordo, riforma, nuova legge... Persino con una riforma costituzionale, come è successo l'anno scorso.
È un governo di fatto, non di diritto. Nel 2007, il Procuratore Generale della Repubblica, Hernán Estrada, ebbe a dire, niente meno che negli uffici del Centro Nicaraguense per i Diritti Umani che «se il comandante Daniel Ortega lo volesse, non resterebbe pietra su pietra in questo Paese...».
Fino ad oggi, nessuna delle continue arbitrarietà commesse dal governo di Ortega aveva avuto tanta risonanza nelle reti sociali. E nessuna aveva causato tanto impatto tra i suoi grandi alleati del vertice imprenditoriale. Si staranno guardando nello specchio di Arcia...?
Lunedì 5 Aprile, quando il Paese stava uscendo dalla lunga vacanza pasquale, il Consiglio Superiore dell'Impresa Privata (COSEP) ha reso pubblico un comunicato dal contenuto insolito in considerazione della dura presa di posizione in difesa di Arcia, della proprietà privata, della certezza giuridica, dei principi costituzionali, dello Stato di Diritto.
Nel testo si descrive quanto successo come «atti di forza governativi eseguiti arbitrariamente ed illegalmente, ledendo i diritti costituzionali che sono fondamentali per la certezza del diritto richiesta dagli investimenti nazionali e internazionali» e si chiede «che si proceda immediatamente ad indagare l'azione irregolare di funzionari e membri della polizia che hanno agito al riparo della forza e dell'impunità».
Un mese dopo, nessuna indagine era stata fatta e non c'era altra “spiegazione legale” che l'accordo pre-datato a firma della Procura. E un mese dopo, nonostante la forza del suo messaggio, il vertice imprenditoriale aveva gettato acqua sul fuoco, senza insistere oltre. Forse perché Milton Arcia non appartiene ad alcuna cupola ma alla base, forse perché è un imprenditore “chapiollo y pandillero” (casareccio e membro di qualche banda, ndr), come si è sentito dire... Forse, perché in meno di un mese, Ortega stava rinnovando agli imprenditori del COSEP le favolose agevolazioni fiscali di cui godono.
L'alleanza di Ortega con la élite imprenditoriale costituisce il pilastro dell'attuale governo. La vibrante denuncia del caso Arcia seguita dal rinnovo delle esonerazioni ha dimostrato che questa alleanza permette agli imprenditori di fare affari alle spalle della loro responsabilità di dare un contributo alle finanze pubbliche, sebbene proclamino la famosa “responsabilità sociale d'impresa”, mentre Ortega ha gioco facile nel continuare a governare alle spalle della legge.
Voltando le spalle dello sviluppoNonostante le debolezze teoriche che Eduardo Galeano ha riconosciuto nella sua analisi, “le vene dell'America latina” continuano ad essere aperte... Il saccheggio delle risorse naturali – che sta alla base dello “sviluppo” dei Paesi latinoamericani e costituisce la tesi centrale del libro – è ancora attuale come lo è fin dai tempi coloniali. Con la dolorosa differenza che oggi quelle sinistre che hanno preso coscienza del saccheggio, hanno lottato per cambiare le cose e sono arrivate al governo, non solo non hanno fermato la “emorragia”, ma si sono dedicate ad un accelerato estrattivismo. Il Nicaragua non fa eccezione. Quello di Ortega è un governo estrattivo, come lo è la cupola imprenditoriale sua alleata.
Pratiche agricole e di allevamento tradizionali e molto radicate, che resistono al cambiamento, basate su un capitalismo predatorio, hanno distrutto i boschi del Nicaragua e hanno prosciugato moltissime fonti d'acqua. Circa 70 mila ettari di terra a vocazione forestale si perdono ogni anno in Nicaragua. Nella riserva di BOSAWAS (acronimo di Bocay, Saslaya e Waspuk, ndr), considerata il “polmone del Centroamerica”, ogni anno vanno in fumo 42 mila ettari di foresta tropicale umida. Il fiume Coco, il più lungo dell'America Centrale, condiviso con l'Honduras, sta diventando un ruscello in alcuni suoi tratti. La deforestazione intensiva che alimenta il commercio di legname, la trasformazione dei terreni in pascolo per l'allevamento estensivo del bestiame, l'abuso di prodotti agrochimici, stanno provocando conseguenze disastrose. Secondo dati della FAO resi noti in Aprile, il degrado dei suoli in Nicaragua è dieci volte superiore a quello tollerabile. Gli ecosistemi nicaraguensi – acqua, suoli e boschi – sono “sotto pressione”, ha avvertito il Centro Internazionale di Agricoltura Tropicale.
Quando ci si renderà conto che il modello di crescita economica al quale sono aggrappati Ortega e i suoi alleati è proprio quello che esercita tale “pressione”? Quando si investirà davvero in altre pratiche agricole e di allevamento più rispettose dell'ambiente?
La crescita economica, questa cifra magica che il governo continua a sbandierare come segnale dei progressi del Paese e della proficua collaborazione con i vertici imprenditoriali, non solo non genera posti di lavoro sufficienti, spinge all'emigrazione e aggrava la disuguaglianza, ma si basa anche sulla distruzione ambientale. Si tratta di un modello che va esageratamente a beneficio di pochi e che, alla fine, danneggerà tutti.
L'inarrestabile estensione di una delle pratiche più nocive, la monocultura di tradizionali prodotti di esportazione (canna da zucchero soprattutto, arachidi e palma africana...), prosciuga i fiumi, degrada i suoli e riconcentra sempre più la terra nelle mani di pochi, un gruppo di grandi imprenditori, privilegiati dalle esonerazioni fiscali. Non solo distruggono, ma nemmeno contribuiscono come dovrebbero; con la qual cosa hanno accumulato un impressionante debito sociale e ambientale nei confronti del Paese.
La bramosia dell'oroAlimentano questo modello di “sviluppo” le miniere a cielo aperto, diffuse oggi in tutta l'America Latina, compresi in quei Paesi socialisti del XXI secolo, tra cui il Nicaragua. Secondo dati del Centro Humboldt (con sede a Managua, ndr), il 13,4% della superficie del Nicaragua è già stato dato in concessione per esplorazioni minerarie e petrolifere. Il Nicaragua è diventato un Paese molto appetibile per quanto riguarda l'oro che ancora conserva il suo sottosuolo e non è stato già estratto dagli spagnoli ai tempi della Colonia.
Andrew McKinley, funzionario del Catholic Relief Services, l'agenzia cattolica statunitense per gli aiuti umanitari internazionali, dichiarò ad envío, un anno fa: «Le miniere d'oro richiedono quantità esorbitanti di acqua. La miniera Marlin in Guatemala utilizza circa 250 mila litri di acqua all'ora, vale a dire circa 6 milioni di litri di acqua al giorno. Ogni fase di questa attività mineraria, dall'esplorazione alla estrazione, lavorazione e raffinazione, provoca danni spesso irreversibili all'ambiente. Nella fase di esplorazione, le compagnie minerarie fanno centinaia di perforazioni nel terreno, fino a 400 metri, per verificare la presenza e il grado di concentrazione dell'oro. In questo processo, è frequente che risultino danneggiate le falde acquifere e le sorgenti d'acqua delle comunità vicine».
È quanto accade con le perforazioni esplorative realizzate dalla compagnia mineraria canadese B2Gold nel municipio di Rancho Grande, dipartimento (provincia, ndr) di Matagalpa, nonostante la contrarietà della comunità organizzata, alla testa della quale c'è il vescovo, ma con il totale beneplacito dell'attuale governo, con la complicità irresponsabile delle istituzioni statali che dovrebbero prendersi cura dell'ambiente e dei grandi imprenditori privati del COSEP.
Girando le spalle anche di fronte al disastro ambientaleIl caldissimo Aprile di quest'anno, con temperature che hanno superato i record storici, spinge a riflettere sul disastro ambientale che avanza in Nicaragua, al quale si sta voltando le spalle...
Il Nicaragua è uno dei Paesi più minacciati dai cambiamenti climatici, che si traducono essenzialmente in temperature più elevate ed una maggiore irregolarità delle precipitazioni, il che provoca siccità o inondazioni, altera il ciclo produttivo agricolo e causa malattie. Secondo l'Indice di Rischio Climatico Globale, negli ultimi vent'anni il Nicaragua è stato il quarto Paese al mondo maggiormente colpito da eventi disastrosi, morti e perdite materiali a causa di tali disastri; superato, in questo ordine, da Honduras, Myanmar e Haiti.
Non c'è praticamente disastro ambientale che non sia anche un disastro sociale causato dall'uomo. Il cambiamento climatico è causato dalle attività umane. Lo ha sancito categoricamente e finalmente il quinto rapporto del Gruppo Intergovernativo di esperti sul Cambiamento Climatico (IPCC), dopo che le grandi multinazionali hanno insistito a lungo nel negarlo.
Sono le emissioni di gas serra le principali cause del cambiamento climatico e, sebbene in rapporto alle emissioni del Paesi industrializzati quelle del Nicaragua siano trascurabili, ciò che il Nicaragua sta facendo a livello nazionale per aggravare gli effetti del cambiamento climatico a livello globale, è, sì, significativo e rende i nicaraguensi responsabili del disastro ambientale, un problema strutturale di una cultura poco lungimirante condivisa da molti poveri e pochi ricchi
– essendo più responsabili quest'ultimi –, una minaccia che ci riguarda tutti, governati e governanti – con maggiori responsabilità dei secondi –.
Ortega si sente a suo agio e sicuroAnche se Daniel Ortega volta le spalle alla legge, al disastro ambientale causato dal modello di crescita che egli incoraggia e pratica in alleanza con gli imprenditori, agli interessi del Nicaragua sulla scena internazionale, nel cortile di casa si muove a suo agio e con sicurezza.
Quest'anno, a causa del calo dei prezzi del petrolio, Ortega disporrà di 200 milioni di dollari in meno di credito, frutto della cooperazione petrolifera venezuelana. Tuttavia, riuscirà a compensare tali minori entrate con tagli alla spesa per combustibile ed energia delle istituzioni dello Stato – un decreto stabilisce che un terzo di tale risparmio energetico servirà a finanziare programmi sociali – e alla riscossione fiscale risultata maggiore del previsto. In altri termini, le risorse per la campagna elettorale che dovrebbe portare alla sua quarta rielezione dovrebbero essere, comunque, assicurate.
Sentendosi a suo agio e al sicuro Ortega può permettersi di governare con le spalle alla legge e arbitrariamente. Oltre all'appoggio che gli garantisce l'alleanza con la élite imprenditoriale, è favorito dal fatto che la maggior parte della popolazione lotta ogni giorno per la sua sopravvivenza e ciò le fa passare in secondo piano il fatto che il presidente rispetti o meno le leggi. Quando a comandare è solo la legge della vita, vale a dire mangiare e non essere mangiati, importa poco lo Stato di Diritto e l'istituzionalità democratica.
Una questione moraleIl pensiero magico che ha caratterizzato la religiosità tradizionale, ancora maggioritaria in Nicaragua e oggi, persino, promossa dal governo, non favorisce la consapevolezza e la responsabilità di fronte alla crisi ambientale.
Speriamo che l'enciclica di papa Francesco sull'ambiente (resa nota successivamente alla pubblicazione di questo articolo, ndr), interroghi quanti in Nicaragua voltano le spalle al disastro ambientale e propongono il megaprogetto del canale interoceanico come soluzione alla povertà, ignorando la catastrofe ecologica che esso causerebbe.
Il senso di comodità e sicurezza del presidente poggia su sabbie mobili. Il progetto di canale ne è il miglior esempio. L'ostinata resistenza della popolazione che vive dove dovrebbe passare il canale, le oltre 40 manifestazioni di protesta inscenare dai contadini di quelle zone contro il canale e il governo che ha dato in concessione il Paese perché fosse tagliato in due, e, inoltre, la mobilitazione internazionale sul tema, hanno richiamato l'attenzione su tale megaprogetto, turbando i sonni di chi governa alle spalle della gente.
6 Novembre 2011: un momento crucialeResponsabili di questa situazione sono anche i deputati che approvano supinamente qualsiasi accordo inviato loro con procedura d'urgenza da Ortega. E, pure, i funzionari che in silenzio appoggiano qualsiasi arbitrarietà. Ma anche la dirigenza dell'opposizione politica ha le sue responsabilità se siamo arrivati a questo punto.
Questo mese, Edmundo Jarquín, candidato alla vicepresidenza nel 2011 in coppia con Fabio Gadea, per l'alleanza PLI-MRS (Partito Liberale Indipendente - Movimento di Rinnovamento Sandinista), ha rivelato un episodio che la dice lunga su tale responsabilità, occorso nel momento cruciale di quella tesa campagna elettorale. Vale la pena riportare integralmente il racconto di Jarquín: «Per la correttezza della competizione elettorale sono essenziali la libertà di espressione e il disporre di un finanziamento minimo per l'organizzazione, la mobilitazione e la propaganda. Il caso è ancora più rilevante per il nostro Paese. Quando il giorno delle elezioni del 2011, alle 2 del pomeriggio, il capo della missione degli osservatori elettorali dell'Organizzazione degli Stati Americani (OSA), Dante Caputo, convocò una conferenza stampa per dire che a causa dell'ostruzione del governo all'accreditamento degli osservatori in un numero significativo di seggi elettorali, [gli osservatori] non erano in grado di sapere cosa stesse succedendo durante il voto (“Siamo rimasti senza radar, ce l'hanno spento” disse, mentre con una mano faceva il gesto di tappare una bottiglia), nel gruppo dirigente della campagna elettorale di Fabio Gadea iniziò una discussione sull'opportunità o meno di disconoscere immediatamente o meno i risultati elettorali. Non accettarli avrebbe implicato una crisi di legittimità per la incostituzionale rielezione di Ortega. Prevalse la posizione contraria, con l'argomento che il presidente orteguista del Consiglio Supremo Elettorale (CSE) aveva annunciato che non avrebbe autorizzato il rimborso dei fondi per la campagna elettorale a quanti denunciavano i brogli; e l'Alleanza-PLI si era indebitata con le banche con la garanzia che avrebbe pagato i suoi debiti una volta ricevuti i fondi del CSE. Fu un errore storico. Ortega si aggiudicò due terzi dei voti, quando non ne aveva ottenuti più di un terzo. Soprattutto, la monumentale frode passò inosservata a livello internazionale per l'impotenza che dimostrammo nell'opposizione. Con l'eventuale crisi di legittimità, almeno, il CSE avrebbe autorizzato il rimborso alle banche».
Com'era prevedibile, quanti dell'Alleanza-PLI dipendono dal suo discusso leader, Eduardo Montealegre, hanno enfaticamente negato in una conferenza stampa che le cose siano andate così e smentito che vi fossero ragione pecuniare a spingerli a non denunciare in quel momento la frode elettorale. Pochi giorni dopo, Montealegre ha annunciato che non si candiderà alle presidenziali del 2016.