«Abbiamo fatto germinare le nostre idee per imparare a sopravvivere in mezzo a tanta fame, per difenderci da tanto scandalo e dagli attacchi, per organizzarci in mezzo a tanta confusione, per rincuorarci nonostante la profonda tristezza.
E per sognare oltre tanta disperazione.»


Da un calendario inca degli inizi della Conquista dell'America.
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HONDURAS / Paese laboratorio delle politiche di sicurezza di Washington

L'indagine che ha portato all'arresto degli assassini materiali di Berta Cáceres è solo una prova in più del fatto che sono gli Stati Uniti a governare in Honduras. Tutto ciò che accade nel Paese va visto da questa prospettiva. Ma anche da quella del presidente Juan Orlando Hernández, che punta alla rielezione. Nei fatti, il degrado istituzionale, che spinge Washington a fare dell'Honduras un laboratorio delle sue politiche di sicurezza, nonché la smisurata ambizione di Hernández, stanno spingendo il Paese verso un regime sempre più autoritario, repressivo e militarizzato.

Di Ismael Moreno, corrispondente dall'Honduras. Traduzione e redazione di Marco Cantarelli.

Due mesi dopo l'assassinio di Berta Cáceres, che ha commosso l'Honduras e molti nel mondo, il Ministerio Público (dipendente dalla Procura Generale della Repubblica, ndr) ha emesso i mandati di arresto di diverse persone accusate di aver partecipato al crimine. L'ambasciatore statunitense, James D. Nealon, è stato il primo a complimentarsi con il governo honduregno per il successo dell'inchiesta. Dopodiché, anche il presidente Juan Orlando Hernández si è autocongratulato, attribuendosi i meriti di questo risultato contro l'impunità.

Gli assassini di Berta

Secondo le autorità giudiziarie, cinque uomini avrebbero commesso il crimine, il 3 Marzo scorso. Il 2 Maggio, è scattato l'arresto per quattro di essi, che sono stati processati per direttissima e, quindi, rinchiusi in un carcere vicino alla capitale. Si tratta di Sergio Rodríguez Orellana, dipendente dell'impresa DESA (Desarrollo Energético S.A.), compagnia responsabile della centrale idroelettrica di Agua Zarca, contro la quale Berta lottava; questi si sarebbe messo d'accordo con Douglas Bustillo, un tenente dell'esercito in pensione che ricopriva l'incarico di vicecapo della sicurezza interna di DESA, il quale aveva già minacciato Berta nel 2013. A sua volta, Bustillo avrebbe ingaggiato Mariano Díaz Chávez, maggiore dell'esercito in procinto di essere promosso tenente colonnello e, pure, istruttore della Polizia Militare dell'Ordine Pubblico: sarebbe stato quest'ultimo, che controllava anche una rete di sicari legati al narcotraffico, a contrattare i gemelli Edilson ed Emerson Duarte per compiere l'assassinio; il secondo è stato arrestato qualche giorno dopo il primo ed in suo possesso è stata trovata l'arma utilizzata per il delitto.
Gli arresti hanno rivelato il grado di coinvolgimento delle forze armate honduregne nel crimine organizzato.
Stando alle intercettazioni telefoniche, per portare a termine l'azione criminale sarebbero stati spesi circa 44 mila dollari, spartiti tra i cinque uomini coinvolti. Chi ha finanziato tale somma? Quali rapporti intercorrevano tra il dipendente della DESA e il direttore dell'impresa? E, ancora più in alto, tra quest'ultimo e i proprietari ed azionisti della compagnia, dirigenti di alto livello di banche, supermercati e altre società, in breve, l'élite che domina l'economia e il commercio nel Paese? E fino a dove hanno deciso di spingersi gli Stati Uniti in questa indagine, dal momento che sono stati statunitensi a realizzarla, in parallelo a quella condotta dal Ministerio Público honduregno?

La politica statunitense

Nelle settimane precedenti la cattura degli assassini materiali di Berta Cáceres sono apparse sui media varie notizie riguardanti la Polizia Nazionale. In forma del tutto inattesa, abbondante copertura giornalistica è stata data al coinvolgimento di alti ufficiali della polizia in due omicidi accaduti anni fa: quelli del direttore dell'ufficio antidroga, Arístides González, ucciso nel Dicembre 2009, e del consulente per la lotta al narcotraffico, Alfredo Landaverde, assassinato nel Dicembre 2011. Pur senza nominare gli ufficiali coinvolti, la notizia è apparsa, dapprima, il 4 Aprile, su El Heraldo, quotidiano della capitale Tegucigalpa, di solito fedele esecutore delle operazioni mediatiche del governo. Quindi, le stesse informazioni sono state pubblicate, 11 giorni dopo, ma stavolta con i nomi, su The New York Times. Alla vigilia di tale pubblicazione, il 14 Aprile, i media honduregni hanno filtrato in forma discreta la notizia delle dimissioni del ministro degli Esteri, Arturo Corrales Álvarez, date il giorno precedente.
Negli stessi giorni è stato annunciato anche l'insediamento nel Paese della Missione di sostegno alla lotta contro la corruzione e l'impunità in Honduras (MACCIH), organismo che fa capo alla Organizzazione degli Stati Americani.
Tali eventi rispondono alla stessa politica che negli ultimi anni ha fatto dell'Honduras un laboratorio delle politiche di sicurezza di Washington.

Polizia e narcotraffico

Le rivelazioni sulla partecipazione di ufficiali di polizia di alto rango nei due crimini menzionati hanno suscitato scandalo. Da esse si deduce che altri omicidi di magistrati, agenti di polizia di rango intermedio, investigatori e altri funzionari statali sarebbero stati realizzati da squadroni della morte organizzati al più alto livello della polizia, in obbedienza a piani e ordini dei “signori della droga” in Honduras.
Secondo tali informazioni, la maggior parte dei capi della Polizia Nazionale negli ultimi dieci anni avrebbe agito alle dipendenze di strutture criminali legate al narcotraffico.
A loro difesa, gli implicati hanno accusato l'ex ministro della Sicurezza ed attuale capogruppo parlamentare del Partito Nazionale, Óscar Álvarez, di averli denunciati per reati nei quali l'allora ministro e il suo vice, oggi sindaco di San Pedro Sula, avrebbero avuto, invece, responsabilità diretta.
In questo clima teso, ci si chiede cosa ci sia dietro le dimissioni di Corrales Alvarez? Finora, il presidente della Repubblica Juan Orlando Hernández e i suoi più stretti collaboratori hanno taciuto. Ma è evidente che la la sua rinuncia coincide con le rivelazioni de The New York Times, secondo cui i ministri di Sicurezza degli ultimi anni sapevano tutto dell'uccisione dei funzionari impegnati nella lotta al narcotraffico, ma non hanno mosso un dito.

Perché questa rinuncia?

In effetti, Corrales Álvarez era stato ministro della Sicurezza prima di essere nominato agli Esteri. In quest'ultima veste, aveva sistematizzato le informazioni relative alla lotta contro la criminalità organizzata e promosso la campagna che ha portato alla cattura dei principali narcos honduregni e alla loro estradizione negli Stati Uniti. Tuttavia, non esiste alcun riferimento nei media governativi, né in quelli alternativi, che faccia pensare ad un coinvolgimento di Corrales Álvarez nella segnalazione e successiva cattura dei capi della Polizia coinvolti nell'assassinio dei due funzionari della lotta al narcotraffico. Tra speculazioni e congetture, il presidente della Repubblica si è limitato ad informare che Corrales Álvarez è passato a ricoprire un incarico di consulenza nel suo governo.
Per almeno 15 anni, Corrales Álvarez è stato l'architetto di tutti gli scenari di dialogo in cui solitamente venivano risolti i conflitti politici, anche quelli apparentemente senza via d'uscita. Era l'uomo con la bacchetta magica pronta per fare in modo che quanti si mostravano intransigenti in pubblico negoziassero sotto il tavolo. Inoltre, è sempre stato il primo con il quale gli Stati Uniti prendessero contatto quando c'erano da prendere decisioni sull'Honduras.
I motivi della sua rinuncia sono rimasti nell'ombra che circonda il circolo chiuso del presidente Hernández. Mentre la MACCIH si insediava ufficialmente e veniva creata una commissione speciale per epurare le fila della Polizia Nazionale.

Governati da Washington

Anche se la cattura degli assassini materiali di Berta Cáceres e le rivelazioni che confermano il legame diretto di alti funzionari di polizia con la criminalità organizzata sono notizie positive, è necessario esaminare tali fatti anche da altre angolazioni.
Esprimono, forse, diligenza e competenza del Ministero Público e del governo nell'affrontare l'impunità? O, piuttosto, esprimono la volontà degli Stati Uniti, sempre più presenti nella politica honduregna, di far pulizia nelle degradate istituzioni nazionali?
Poco di ciò che avviene in Honduras da cinque anni a questa parte può essere compreso senza tener conto del fatto che esso risponde a decisioni prese a Washington. Dall'arresto con estradizione di mafiosi, imprenditori e politici legati al narcotraffico e al riciclaggio di denaro, passando per l'insediamento della MACCIH e la fino alla creazione della Commissione speciale per epurare le fila della Polizia Nazionale, tutto è strettamente legato alle politiche di sicurezza della Casa Bianca in America Centrale. Honduras è, oggi, un Paese laboratorio, l'unico in America Latina direttamente governato da Washington.

Un Paese di estraditabili

L'Honduras è un Paese con molte persone potenzialmente estraditabili negli Stati Uniti. Le estradizioni sono una pratica comune nell'ambito del citato laboratorio che serve ad avvisare altri Paesi e altri “signori della droga” che Washington potrebbe replicare altrove quanto sta facendo in Honduras, se questi non dovessero correre ai ripari. Nei fatti, le estradizioni testimoniano come la legislazione honduregna sia ormai subordinata a quella statunitense, dato l'estremo deterioramento delle istituzioni in Honduras. Nelle recenti estradizioni di honduregni negli Stati Uniti si esprime la sfiducia di Washington negli strumenti giuridici dello Stato honduregno. Gli Stati Uniti considerano l'Honduras un disastro di tale portata al punto da ritenere che, sia a breve come a medio termine, la crisi honduregna non sarà risolta grazie all'invio di “consulenti” o al finanziamento delle sue istituzioni pubbliche, e meno ancora lasciando i funzionari honduregni liberi di agire autonomamente in tutto ciò che abbia a che fare con le indagini sulla criminalità organizzata o l'operatività del sistema giudiziario. Per Washington è chiaro che gli Stati Uniti debbano prendere le redini di tali decisioni.

Come dimostra l'assassinio di Berta

L'assassinio di Berta Cáceres, senza dubbio emblematico, anche se non l'unico, è la prova evidente di come gli Stati Uniti stiano intervenendo direttamente in Honduras.
Il 4 Marzo, il giorno dopo il delitto, l'ambasciatore degli Stati Uniti si è presentato a casa della madre di Berta, dove era stata predisposta la camera ardente, e con il suo permesso si è unito nel lutto. Quel gesto, come tutti hanno compreso subito, avrebbe avuto conseguenze. In altre parole, l'ambasciatore stava dicendo alla società e al governo honduregni che gli Stati Uniti avrebbero condotto le indagini sul crimine, come fosse una missione propria, impegnandosi a presentare risultati che avrebbero sfidato l'impunità regnante. Due mesi dopo, gli assassini materiali sono stati arrestati, stabilendo così un netto contrasto con altre indagini condotte dalla giustizia honduregna, dai risultati lenti, discutibili e scoraggianti.
Nei fatti, envío ha appreso che sono state condotte due indagini parallele: una dal MinisterioPúblico e una dagli Stati Uniti, di cui nulla è trapelato sia al governo che alla famiglia di Berta.
Bisognerà ora vedere cosa faranno le autorità competenti, come sarà il processo e, quindi, cosa diranno le sentenze che ne seguiranno. Soprattutto, resta da vedere se l'indagine arriverà fino ai mandanti del crimine.

Le pressioni di Washington

Nonostante la diffidenza verso attori politici che sono sempre stati suoi alleati in Honduras, gli Stati Uniti hanno deciso di non rompere con essi, anche perché non hanno alternative. Ciò spiega il loro impegno nelle indagini sull'omicidio di Berta Cáceres, anche se poi il merito è stato attribuito al governo di Juan Orlando Hernández. In tal modo, Washington giustifica il sostegno che continua a dare al presidente.
Washington esercita pressioni sul governo honduregno perché questi persegua i reati in modo trasparente, indaghi sui casi di corruzione e affronti i casi più eclatanti di impunità; inoltre, perché aumenti la trasparenza nell'uso delle risorse pubbliche e renda conto dell'aiuto bilaterale degli Stati Uniti. E, pure, filtra informazioni ai media critici nei confronti del governo per costringere quest'ultimo a rendere conto, sentendosi sotto osservazione. Tuttavia, Washington continua ad appoggiare il governo, avendo bisogno di rendere più decente la pubblica amministrazione honduregna per poter giustificare agli occhi della comunità internazionale il sostegno che le dà.
Ciò che più interessa Washington è mantenere la stabilità di questo governo: e fare giustizia nel caso di Berta Cáceres aiuta in tal senso. Così come contribuiscono alla stabilità l'appoggio e i “consigli” offerti alla MACCIH perché questa stimoli il governo a fare progressi nella lotta contro la corruzione e l'impunità. Pur essendosi insediata da poco, la MACCIH ha già ricevuto 5,2 milioni di dollari dagli Stati Uniti perché possa lavorare «senza contrattempi».

Le ambizioni del presidente

Ma c'è anche un altro angolo da cui guardare alla cattura degli assassini di Berta Cáceres e al processo di epurazione nella Polizia Nazionale: la campagna per la rielezione di Juan Orlando Hernández. Quanto accadrà nel Paese, da qui a fine Novembre 2017, cioè quando si terranno le prossime elezioni, va visto attraverso il prisma delle ambizioni di potere del presidente, mai nascoste nei quattro anni a capo alla guida del Congresso Nazionale e nei due anni e mezzo di presidenza.
Per assicurarsi di avere tutte le redini del potere nelle sue mani, da tempo il presidente è riuscito a prendere il controllo totale dei tre poteri dello Stato – Esecutivo, Legislativo e Giudiziario –, della Procura Generale, della Commissione Nazionale dei Diritti Umani, della Contraloría Generale della Repubblica (equivalente alla nostra Ragioneria di Stato, ndr), del Tribunale Superiore dei Conti (equivalente alla nostra Corte dei Conti, ndr), del Tribunale Supremo Elettorale, del Registro Nazionale delle Persone (istituto cruciale in chiave elettorale, ndr), dell'Istituto Honduregno di Accesso all'Informazione Pubblica e di una parte importante dello Stato Maggiore Congiunto delle Forze Armate. Inoltre, è riuscito anche a creare, per poi controllarlo, un corpo di Polizia Militare dell'Ordine Pubblico. E, va aggiunto, il presidente esercita anche un controllo significativo sulle decisioni dei partiti di opposizione.
Nel Settembre 2016, si aprirà ufficialmente il processo elettorale che culminerà nelle elezioni generali del Novembre 2017. Ma, anticipando tale data di tre mesi, Hernández e la sua squadra di fedelissimi hanno già lanciato lo slogan, colorito e piuttosto volgare, della campagna elettorale: “Aquí no dejaremos ir chancho con mazorca”(letteralmente, non permetteremo ad alcun maiale di scappare con la pannocchia di mais; il senso appare chiaro...; ndr). Avvertendo così tutti di essere pronto a reagire a qualsiasi “sorpresa” che rischi di impedire la sua rielezione.

Zelaya: il miglior alleato

In questo contesto, anche se ha dell'incredibile, Hernández ha trovato in Manuel Zelaya (il presidente deposto dal colpo di Stato nel 2009, ndr), il miglior alleato al di fuori delle sue fila.
Il desiderio di essere rieletti li accomuna. Ed anche se hanno diverse visioni della realtà nazionale, discorsi diversi e inalberano bandiere dai colori diversi, la loro ambizione sconfinata di essere presidente li fa somigliare parecchio. Entrambi mantengono alta la polarizzazione politica nel Paese, che risulta attrattiva per l'elettorato: dall'estrema destra, Hernández propone un modello basato sull'estrazione di risorse naturali (devastante per l'ambiente, ndr) e su città-modello (in pratica, zone franche per le industrie maquiladorasndr); mentre, dall'opposizione “di sinistra”, Zelaya propone di rifondare il Paese. Chi ha maggiori possibilità di vincere o perdere? La risposta va da sé: anche se Zelaya dovesse ottenere più voti, Hernández ha già previsto tutto e non lascerà scappare “nessun maiale con la pannocchia di mais”...
E se qualcuno avesse qualche dubbio, il fattore che garantisce la vittoria elettorale di Juan Orlando Hernández è proprio Washington, pronto ad impedire qualsiasi rapporto di forze che favorisca Zelaya.

Il veto di Washington su Zelaya

Il solo pensiero di una possibile vittoria di Zelaya provoca inquietudine a Washington, dal momento che risveglia fantasmi del recente passato che gli Stati Uniti non sono in grado di controllare. Mel(suo soprannome, ndr) Zelaya è visto come una sconfitta della loro politica di sicurezza regionale, basata sul far piazza pulita dei principali mafiosi del narcotraffico, sugli investimenti nella prevenzione della violenza e nella costruzione di muri sociali e politici che possano frenare l'emigrazione centroamericana, come propone l'Alleanza per la Prosperità del Triangolo Nord.
Washington ha posto il veto su Mel Zelaya e quest'ultimo non è in grado di vanificarlo. Juan Orlando Hernández sa bene che i gringos non accetteranno una vittoria di Zelaya e conta su questo. Conosce anche le ambizioni di Zelaya perché sono simili alle sue, e analogamente, gioca con esse.

Juan Orlando Hernández: un concorrente imbattibile

Zelaya ha consolidato la sua leadership in un settore importante dell'opposizione honduregna e agisce secondo una pratica politica intelligente. Ritiene di aver il maggiore seguito popolare nel Paese e questo è probabilmente vero. Intuisce che, nella radicata polarizzazione nazionale, sarebbe lui ad ottenere più voti, sommando quelli dei fautori del suo stile caudillista con quelli della popolazione scontenta per la crisi nazionale. Fin lì lo conduce la sua intelligenza politica. Ma i rapporti di forza non lo favoriscono.
Juan Orlando Hernández conta su uno “zoccolo duro” di voti prossimo, se non pari, a quello di Zelaya, ma ha qualche vantaggio in più: controlla tutte le istituzioni del Paese; ha tutto il denaro che vuole per comprare i voti di una popolazione in miseria e con livelli di istruzione molto bassi; e, soprattutto, gode del sostegno degli Stati Uniti e, di conseguenza, di quello dei governi europei. Tutto ciò lo rende un concorrente imbattibile.
Ciò su cui non conta Juan Orlando Hernández, per quanto si affanni in tal senso, è un modo per rallentare il deterioramento del sistema e l'instabilità strutturale in cui è immersa la società honduregna. E così come nel Maggio 2015 esplose il movimento delle “fiaccole indignate” senza che nessuno, e lui meno di tutti, l'avesse previsto, nuovi fenomeni inattesi potrebbero insorgere e porre fine alla sua ambizione di potere.
L'instabilità strutturale del Paese, combinata con la sua eccessiva ambizione, aprono due possibili scenari. Il primo, verso il consolidamento di un regime autoritario basato sulla repressione e sulla militarizzazione che incuta paura nella società. L'altro, verso esplosioni sociali non controllate dell'opposizione formale che potrebbero provocare maggiore caos, oppure alimentare alternative che facciano crescere la consapevolezza dei leaders sociali, permettendo loro di incanalare la protesta in forme organizzate.
Finora, la tendenza che si osserva è verso il consolidamento di un progetto autoritario guidato dall'estrema destra politica, imprenditoriale e militare, che conta anche su un importante sostegno religioso fondamentalista.

La chiusura di Globo TV

In questo quadro, in Maggio è stata chiusa la stazione televisiva Globo TV, che insieme a Radio Globo rappresentava la voce più critica nei confronti del governo vista e sentita nella capitale. Di proprietà di un anziano uomo d'affari liberale passato nelle file del partito LIBRE (Libertad y Refundación, Libertà e Rifondazione, ndr) per lealtà a Zelaya, e diretto dal polemista David Romero, il canale televisivo è stato chiuso dal governo per presunte irregolarità amministrative.
Tuttavia, secondo le convenzioni internazionali sottoscritte dall'Honduras e in base alla stessa Costituzione della Repubblica, nessun errore amministrativo può far venire meno il diritto alla libertà di espressione. Ignorando tale principio, la stazione televisiva è stata chiusa e la stessa minaccia di chiusura pende su Radio Globo.
Anche altri media che non si prestano a fare eco al discorso ufficiale hanno ricevuto minacce indirette. Nei loro confronti sono allo studio norme legali e tecniche alla ricerca di pretesti per togliere frequenze e cancellare permessi. Un chiaro segnale di quanto ci si aspetta nel prossimo futuro: chiusura degli spazi di libertà, controllo dell'opposizione, rafforzamento dell'assedio mediatico, alleanze più strette tra politici, élites imprenditoriali e militari, in una deriva accelerata verso un modello politico, militare ed economico di estrema destra.

Verso quale modello?

L'Honduras si dirige verso un governo autoritario marcato da alte dosi di personalismo, con una forte componente militare, sempre più intollerante alla critica, ma disposta a tollerare un'opposizione purché sotto controllo e cooptata, mentre criminalizza e scredita quella parte di opposizione che, invece, non riesce a controllare.
Verso un governo, inoltre, che rappresenta gli interessi delle multinazionali, in particolare del settore estrattivo, delle industrie maquiladoras, delle telecomunicazioni, del turismo, commercio e finanza, alleate dell'élite imprenditoriale honduregna in posizioni di socio di minoranza.
Verso un governo, dunque, che investa considerevolmente in programmi di assistenza sociale rivolti alla popolazione più povera per meri scopi di proselitismo, in sostituzione di politiche pubbliche che diminuiscano le disuguaglianze e generino opportunità economiche, sociali ed educative.
Verso un governo, poi, difeso da un apparato propagandistico ben strutturato, che controlla i media attraverso la pubblicità ufficiale e scredita i media che lo criticano.
Verso un governo, infine, che trova sostento in un una religiosità che si sottomette all'autorità come per disegno divino e che, sulla base di una concezione provvidenzialistica, si rassegna alla realtà senza alcuna volontà di trasformarla. Un siffatto governo conterebbe sul sostegno della maggior parte dei principali leaders religiosi, compromessi in quel modello o che semplicemente tacciono di fronte alla corruzione, all'impunità e alla violazione dei diritti umani.

Tempo di democrazie autoritarie

Un progetto come questo si adatta bene alle tendenze continentali e globali. L'irruzione delle forze di estrema destra nella politica e nell'economia lo sosterrebbero. I cambiamenti in atto in Sud America, il fenomeno Trump con tutto ciò che comporta, così come gli scarsi risultati della “democrazia” in México e America Centrale, rispondono a quel “laboratorio” che è diventato l'Honduras dopo il colpo di Stato di sette anni fa, che ha fatto emergere quelle che si sogliono chiamare “democrazie autoritarie”.

Ma anche di opportunità

Anche se la società honduregna è in fermento e in tutto il Paese ci sono focolai di scontento e frustrazione, non ci sono segnali che tale effervescenza alimenti le tendenze trasformatrici a breve termine. Tuttavia, a medio e lungo termine, i diversi settori sociali e politici che negli ultimi sette anni si sono espressi contro le conseguenze negative del colpo di Stato e contro la politica neoliberista attraverso il movimento “delle fiaccole indignate”, hanno oggi l'opportunità di impedire il consolidamento di una dittatura di estrema destra, avviando processi interni di riflessione, dibattito, elaborazione di proposte, articolazione di temi e interessi comuni.
Il momento attuale rappresenta un'opportunità perché il movimento sociale ridefinisca le proprie strategie, valuti criticamente il proprio operato negli ultimi 15 anni, discuta sulle tendenze che si aprono ed elabori proposte a medio termine individuando le alleanze da costruire e il percorso da seguire.
Il momento attuale pone al movimento sociale honduregno sfide importanti. Anche se negli ultimi sette anni ci sono stati momenti di notevole mobilitazione, come nella resistenza al golpe e, quindi, nel movimento “delle fiaccole indignate”, né la forza, né l'articolazione, né la capacità di elaborare proposte comuni caratterizzano il movimento sociale di oggi.

Ciò che ci ha lasciato Berta

L'assassinio di Berta Cáceres ha mostrato le riserve di cui dispone il movimento sociale, ma anche le sue profonde debolezze. Ha rivelato la crescente consapevolezza che in ampi settori della società dei poveri ha raggiunto la cura per l'ambiente, la difesa dei beni comuni e della Natura, la resistenza nei territori, la forza della comunità e, specialmente, la ricchezza umana rappresentata dalle comunità etniche, in particolare Lenca, Garifuna e Tolupán. Queste tematiche mobilitano movimenti popolari, sociali, comunitari, sia rurali che urbani, tanto di base come di professionisti, accademici, politici ed intellettuali.

Ciò che va affrontato

Gli obiettivi per i quali Berta ha dato la sua vita hanno avuto un impatto sulla coscienza di migliaia di honduregni, che si sono chiesti cosa fare in risposta a questo spargimento di sangue. Tuttavia, ciò non produce cambiamenti a breve termine. I conflitti e e i dissapori interni al movimento sociale rimangono intatti, come prima della sua morte crudele.
Non è un segreto per alcuno come nel primo nucleo familiare di Berta ci fossero divisioni interne, accentuatesi nel 2013 e 2014, anche se attenuatesi nel 2015. Tali divisioni e contraddittorie maniere di intendere il lavoro politico e la lotta, mescolate con attitudini personali, sono state esacerbate da persone e organizzazioni assai abili nel vedere la pagliuzza nell'occhio altrui, piuttosto che la trave nel proprio.
Il crimine ha dato luogo a proposte di istanze di articolazione nazionale, che però non riusciranno a promuovere proposte comuni fino a quando non saranno riconosciute le debolezze, i pregiudizi, il discredito che caratterizzano molte organizzazioni e leaderships del movimento sociale.

Il nemico interno

La crescente consapevolezza dell'importanza di difendere i beni comuni, dei danni causati dal modello estrattivo, del carattere di “dittatura di estrema destra” del regime attuale e, d'altro canto, del crescente sostegno della solidarietà internazionale, sono strumenti sufficienti a contrastare le “condizioni soggettive” che ostacolano l'articolazione e la costruzione di una proposta popolare e sociale che rappresenti i sogni, gli interessi, i diritti e le lotte dei diversi settori sociali honduregni. Sono sufficienti a promuovere una mobilitazione interna alle organizzazioni, che le porti a discutere dei fantasmi soggettivi che le corrodono.
Nelle attuali circostanze del Paese, il nemico esterno, rappresentato dal modello neoliberista estrattivo incastonato in un progetto di estrema destra basato sul personalismo autoritario e sul militarismo, è potente e distruttivo tanto quanto il nemico interno, che cova nel cuore delle diverse organizzazioni e dei loro leaders, che si traduce in diffidenze, condanne, discredito, protagonismi, apatia, dipendenza dalle risorse provenienti dalla cooperazione internazionale, assenza di mistica e volontariato per evitare rischi... Una volta stabilito all'interno delle organizzazioni sociali questo nemico interno fa passare in secondo piano il vero nemico, fino a farlo sparire dal radar.
Quando ciò accade, le organizzazioni e i loro leaders si attaccano a vicenda e costruiscono trincee per distruggersi a vicenda. Così accadde in El Salvador nel 1975, quando il poeta Roque Dalton fu sommariamente processato, accusato di essere un infiltrato della CIA e fucilato dai suoi stessi compagni. Dramma che si ripeté nel 1983 (in Nicaragua, ndr), quando la comandante Ana María venne fatta assassinare da un dirigente della sua organizzazione (le Forze Popolari di Liberazione del Salvador, ndr), accusata di tradire la linea politica imposta da quel dirigente (Salvador Cayetano Carpio, alias comandante Marcial, ndr).
In entrambi i casi è andata persa la vita di due persone profondamente impegnate nella trasformazione sociale del loro Paese, soltanto perché criticavano la linea ufficiale delle loro organizzazioni. Casi meno noti si sono verificati anche in Honduras negli anni Ottanta.

Il compito fondamentale

Tale nemico interno non ha ancora preso cittadinanza tra le organizzazioni del movimento sociale honduregno, né ha ancora dispiegato il suo potenziale distruttivo. Tuttavia, c'è abbondante terreno fertile perché si nutra, cresca, si consolidi e faccia danni. Compito fondamentale dell'oggi è affrontarlo. Iniziare a sradicarlo dalla propria casa consentirà l'accumulo di energia per trasformare collettivamente la casa comune.

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