«Abbiamo fatto germinare le nostre idee per imparare a sopravvivere in mezzo a tanta fame, per difenderci da tanto scandalo e dagli attacchi, per organizzarci in mezzo a tanta confusione, per rincuorarci nonostante la profonda tristezza.
E per sognare oltre tanta disperazione.»


Da un calendario inca degli inizi della Conquista dell'America.
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NICARAGUA / Un regime alle strette che spara contro una rivoluzione civile

L'insurrezione della coscienza scoppiata in Aprile è ancora viva. Nelle strade proseguono le mobilitazioni e le grandi arterie del Paese restano bloccate dai manifestanti. Tutti chiedono le stesse cose: giustizia e democrazia. Il regime Ortega-Murillo risponde con la repressione all'imprevista svolta politica che lo ha convertito in minoranza e ne chiede la rinuncia. A livello internazionale, più specificamente nell'Organizzazione degli Stati Americani, comincia a farsi strada la consapevolezza di quanto è successo, di quanto sta succedendo e di quello che potrebbe succedere se la crisi dovesse prolungarsi.

Traduzione e redazione di Marco Cantarelli.

«Signor Presidente, ripensi con il suo governo al cammino percorso. È iniziata una rivoluzione non armata. Qui non c'è un esercito contro un altro. È una popolazione che sta manifestando tutto ciò che sente da molti anni. Vuole lei smantellare questa rivoluzione a forza di repressione, con pallottole di gomma e di piombo, e forze paramilitari? Ascolti il popolo». Con queste parole il vescovo di Estelí, Abelardo Mata, si è rivolto a Daniel Ortega il 16 Maggio 2018 all'insediarsi il tavolo di dialogo nazionale.
Di fronte a tale drammatico pronunciamento, il tono e il contenuto della tiepida risoluzione presentata su iniziativa del governo degli Stati Uniti e consentita da quello del Nicaragua, approvata dall'Assemblea Generale dell'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) il 5 Giugno 2018, in cui si rivolge «un appello al governo del Nicaragua perché partecipi attivamente a negoziati pacifici», sta a dimostrare che la nuova realtà nicaraguense non è ancora sufficientemente compresa aldilà delle frontiere del Paese, anche se comincia a evidenziarsi il carattere dittatoriale del regime.

Un'esperienza complessa da capire

La mancanza di apertura di Daniel Ortega e di sua moglie Rosario Murillo di fronte alle proteste giovanili iniziate in Aprile, che hanno dato il via ad un imprevisto e massiccio sussulto della coscienza nazionale, ha aperto le porte alla “rivoluzione non armata” cui accennava il vescovo Mata. Un'esperienza inedita in Nicaragua, persino in America Latina. Un'esperienza difficile da mantenere e sicuramente complicata da capire.
Complessa da comprendere all'estero, dopo il silenzio durato oltre un decennio, in cui poco o niente trapelava sui misfatti del regime Ortega-Murillo; sconosciuti per alcuni, nostalgici del passato rivoluzionario; tollerati da altri – tra cui la stessa impresa privata nicaraguense e il governo degli Stati Uniti – che consideravano come, tutto sommato, Ortega fosse meno problematico al governo “dall'alto” piuttosto che “dal basso”, dal momento che con la sua mano dura garantiva stabilità in una regione assai violenta. All'interno dell'OSA, poi, la priorità data alla crisi venezuelana e la molteplicità di interessi di tanti piccoli Paesi spiegano il ritardo con cui l'organismo emisferico ha rivolto il suo sguardo al Nicaragua.

Un civismo difficile da mantenere

Un'esperienza, peraltro, difficile da conservare e contenere all'interno dell'orizzonte del più puro civismo. In un Paese dove tanta gente è familiarizzata all'uso delle armi, in un popolo che porta impresso, nella sua memoria storica, il rovesciamento armato di una dittatura quaranta anni fa e, nella memoria più recente, la frustrazione subita a seguito di quattro frodi elettorali consecutive organizzate da Ortega che hanno chiuso la possibilità di cambiare le cose mediante il voto, era impossibile che non apparissero a fianco dell'insurrezione civica e non armata gruppi più radicali che fanno ricorso alle armi.
Il mese di Maggio ha visto un enorme sforzo civico, accompagnato da grande incertezza ed estrema violenza da parte del regime. Da una parte, c'è una chiara maggioranza del Paese che appoggia la rivoluzione civica. Dall'altra, la risposta del regime è quella di un autentico terrorismo di Stato. Da un lato, nella rivolta civica ci sono gruppi di rivoltosi che affrontano in armi quanti li attaccano, anche se in condizioni di totale disuguaglianza. Dall'altro, siamo in presenza di una delinquenza armata, scatenata, irresponsabile, impune e permessa dal regime di Ortega, afferrato al potere, nel disperato tentativo di riuscire nell'impossibile: far tornare il Nicaragua a quello che era prima di Aprile.

È difficile riassumere tutto ciò che è accaduto in queste ultime settimane, dopo i primi 40 giorni di insurrezione in Aprile. Ci proviamo.

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